di Alberto Castaldini

giornalista e docente nella Facoltà di Teologia Greco-Cattolica

dell’Università di Cluj (Romania)

Mentre stavo scrivendo questa analisi della miniserie TV statunitense Midnight Mass, diffusa da settembre sulla piattaforma Netflix, ho letto una breve recensione di Aldo Grasso, critico televisivo del “Corriere della Sera” e docente all’Università Cattolica. La recensione è apparsa su un inserto del Corriere il 7 novembre scorso.

Ne riporto alcuni passi: “In sette episodi di un’ora circa, ciascuno con un titolo che rimanda alla Bibbia e ai Vangeli, la serie affronta temi come l’accettazione o il rifiuto, entrambi faticosi, della fede, i suoi limiti e le sue strumentalizzazioni; Midnight Mass punta a sgretolare certezze, a scorticare il senso di colpa, tipico dell’educazione cattolica, ma anche a restituire il mistero attraverso canzoni di chiesa che popolano le scene come una colonna sonora. […] In fondo, è sulla paura della morte che il regista Flanagan insiste, uno dei rimossi della nostra contemporaneità, qui portato violentemente al centro del racconto”. E così Grasso conclude: “Per chi ama lasciarsi sedurre dal dubbio attraverso l’espediente esorcizzante dell’orrore”.

Personalmente, avendo visto con attenzione, e non senza difficoltà, l’intera serie TV che non temo di definire in alcuni dei suoi passaggi un abominio, non riesco davvero a comprendere le impressioni e le parole di Grasso, se non alcuni verbi da lui utilizzati, come “sgretolare, scorticare”… sì, certo, ma la fede cristiana e la Rivelazione. Sulla funzione “esorcizzante” dell’orrore, da lui evocata, legata alla seduzione del dubbio nello spettatore, mi soffermerò alla fine del mio intervento.

La miniserie è stata creata a diretta da Mike Flanagan, regista horror anche di Ouija – L’origine del male (2016) e si basa sul romanzo omonimo di F. Paul Wilson, scrittore americano esperto nei generi horror e fantascientifico. La trama di Midnight Mass si inserisce appieno nella sua produzione narrativa. Un film con lo stesso titolo uscì nel 2003, ma i contenuti erano diversi, con minime analogie.

Questa la trama. Il giovane Riley Flynn dopo aver vissuto sul continente, dove ha ucciso una ragazza per aver guidato in stato di ebbrezza, finendo poi in carcere, torna nella natia Crockett Island, una piccola isola su cui vivono solo 127 persone, lontana dalla civiltà e immersa in un contesto socialmente e spiritualmente deprimente. L’economia principale dell’isola è la pesca, non più florida, e un traghetto garantisce gli unici contatti con la costa. La chiesa di rito cattolico è officiata da un vecchio sacerdote, mons. Pruitt, che si è recato in pellegrinaggio in Terra Santa. Mentre Riley, tormentato dal rimorso, cerca di riannodare in famiglia i fili della sua esistenza fallimentare, arriva inatteso sull’isola un sacerdote quarantenne, padre Paul, che afferma di essere il sostituto temporaneo del parroco ammalatosi dopo il viaggio a Gerusalemme. La novità di questo arrivo non solo spezza la monotonia della comunità, ma suscita un sorprendente e insperato fervore religioso che coinvolge persino Riley, divenuto ateo e in terapia per l’alcolismo.

Durante una celebrazione si verifica un primo miracolo: una ragazzina, Leeza, recupera l’uso delle gambe su invocazione del celebrante e si alza davanti ai presenti. Di fronte all’evento la frequenza religiosa aumenta, così come la pratica sacramentale, e la chiesa si riempie di fedeli. A fianco del prete ritenuto carismatico c’è una zelante collaboratrice, Bev, donna nubile, scontrosa e intransigente che richiama nei modi e nello stile i membri di certe sette. Altre figure rilevanti della comunità sono il medico, la dottoressa Gunning (la cui madre, affetta da Alzheimer, guarisce ringiovanendo progressivamente), l’insegnante Erin Greene (affettivamente legata a Riley, alla quale “scomparirà” una gravidanza) e lo sceriffo musulmano Hassan (unico non cristiano sull’isola, uomo d’ordine abbastanza inviso): questi tre personaggi avranno alla fine un ruolo positivo, in quanto razionale, giacché è la religione il principale obiettivo critico della serie. Nel frattempo, dopo una strana moria di gatti, fa la sua comparsa nell’isola un’oscura presenza notturna. Naturalmente ciò non fa che aumentare il clima di attesa (e di congeniata suspense) verso un colpo di scena che lo spettatore più attento inizia a scorgere nell’ambigua figura pseudo-messianica di padre Paul (il nome non è per nulla casuale). Gli episodi sono infatti scanditi sul crescente disvelamento/rivelazione di un “mistero”, tanto che ciascuno di essi ha per titolo un libro o una parte della Bibbia, più o meno coerenti con la trama rispettiva: Genesi, Salmi, Proverbi, Lamentazioni, Vangelo, Atti degli Apostoli, Apocalisse. Gli episodi, peraltro, sono significativamente sette.

Per farla breve padre Paul altri non è che l’anziano vecchio parroco, rigenerato (non solo ringiovanito) dopo un incontro straordinario avuto in una grotta nei pressi di Gerusalemme, in cui si era rifugiato nel corso di una tempesta di sabbia, e dove conosce quello che lui definisce un “angelo” che gli restituisce vita e salute facendogli bere il proprio sangue (il copione, si noti bene, prevede in quella scena parole evocanti la formula della consacrazione nel Messale). L’“angelo” che ha un aspetto repellente, in tutto e per tutto demoniaco, segue il prete sull’isola, e, dopo un crescendo di ritualità blasfeme, si manifesterà alla comunità rivestito dei paramenti sacerdotali durante la veglia di Pasqua. Egli viene descritto dalla critica come un vampiro (ma la parola non viene mai usata nel film). Il regista ha infatti spiegato che la “creatura” rappresenta il fanatismo e il fondamentalismo. Eppure vampirizza i fedeli donando loro immortalità e causando sete di sangue. Prima però è necessario che essi muoiano dopo aver ingerito del veleno per topi preparato per la Pasqua dalla collaboratrice del parroco, sua fedele seguace e nemica del dubbio, per poi rinascere (o risorgere come il prete nella grotta: richiamo al Santo Sepolcro) grazie al sangue dell’“angelo”, ritenuto salvifico e somministrato in precedenza nel calice dell’altare, mescolato al vino della messa. Solo poche persone – tra cui la dottoressa, l’insegnante e lo sceriffo – avranno il coraggio di opporsi, scatenando l’ira della comunità ormai guidata dall’invasata “perpetua” convinta dell’imminente seconda venuta di Cristo. Dopo un vortice di sanguinario parossismo, tutti gli abitanti dell’isola periranno all’alba (in quanto “vampirizzati” vengono bruciati dalla luce solare) tranne due adolescenti preservati e fuggiti con una barca: Warren, il fratello di Riley (morto in precedenza per libera scelta) e la giovane Leeza che tornerà ad essere inferma. Il demone/vampiro, lacerato nelle ali dall’insegnante Erin, che prima di morire eleva una sorta di lode panteistica, non riesce (forse) a sottrarsi in volo all’arrivo del giorno. Tutto si conclude con un grande incendio sulle note del celebre inno “Nearer, My God, to Thee”.

Lo sfondo anti-religioso e occultistico della serie è palese tanto che alcuni siti di critica cinematografica sottolineano compiaciuti come Midnight Mass metta in evidenza l’orrore (e implicitamente l’errore) della religione (cattolica). Evidente poi l’intento di indicare nel sacerdote un nemico dell’umanità e per nulla un esempio (per inciso: il prete protagonista si scoprirà essere il padre naturale della dottoressa e per amore di sua madre vecchia e malata aveva portato con sé l’“angelo” sull’isola). Le scene sono scioccanti non solo per le immagini crude e violente ma per il carico di blasfemia che colpisce e confonde, affermando la forza dissacrante e – si badi bene – rigenerante del maligno su di un anziano sacerdote e, per esso, sulle anime a lui affidate. La scena che si svolge nella caverna, che evoca non solo il sepolcro di Cristo ma l’annunciazione (giacché il demone è, nonostante il suo orribile aspetto, inteso dal vecchio prete come un angelo che dapprima lo intimorisce ma poi effonde il suo sangue ringiovanendolo) è tanto disgustosa quanto pericolosa per l’impatto visivo e anti-sacramentale. Persino un topolino, in una scena, viene utilizzato in chiave anagogica per spiegare il mistero della Risurrezione e l’inganno a fin di bene. Ma questi sono solo alcuni dei messaggi, nemmeno tanto subliminali, della serie, dove il nucleo horror ispiratore non è certo quello – in apparenza – vampiresco bensì l’esaltazione del male nell’aberrante prospettiva di una redenzione alternativa ottenuta dall’uomo assumendo delle “specie diaboliche”. Insomma, esplicito occultismo televisivo, un rito collettivo che trova il suo vertice di morte nella veglia pasquale: la Midnight Mass che sembra essere una vera e propria messa nera.

Concludendo, per tornare alla funzione “esorcizzante” dell’orrore, richiamata da Aldo Grasso nella sua recensione a Midnight Mass (meritevole – egli scrive – di una “menzione di riguardo”), viene da chiedersi se invece non prevalga, oscura e devastante, quella seduzione del dubbio, da lui parimenti evocata, in una narrazione filmica che non restituisce affatto il mistero, ma lo nega e lo calpesta in modo sacrilego, veicolando un messaggio privo di speranza, rinnegando quella Grazia di cui il sacerdote è tramite e ministro sacramentale, esaltando infine la morte e celebrando soprattutto colui, il diavolo, che per invidia l’ha introdotta nel mondo (Sap 2,24).