I CULTI E I RITI AFRO-AMERICANI
Mons. Dr. Rubens Miraglia Zani

INTRODUZIONE
La denominazione “culti afro-brasiliani” o “riti afro-americani” indica un insieme di cosmovisioni spirituali che si sono originate nell’ambito delle religioni africane e poi diffuse in America Latina, assumendo una configurazione sincretistica che mescola credenze delle popolazioni africane yoruba con la fede cattolica. Definiti “culti afro-brasiliani” per la grande diffusione che hanno avuto in Brasile, sono tuttavia presenti sull’intero territorio sudamericano; i flussi migratori, inoltre, hanno contribuito alla loro esportazione anche negli Stati Uniti e in Europa.
Un approccio consueto ma fuorviante è la tendenza a semplificare, riunendo indistintamente tutti questi culti sotto uno stesso nome — per esempio “macumba”, “vudu” o “santeria” — laddove è invece necessario distinguerli. Altrettanto errata è la tendenza, tipica di alcuni ambienti cattolici, a identificarli con il satanismo; allo stesso modo è sbagliato ritenerli equivalenti alla stregoneria.
Pertanto è essenziale, in via preliminare, circoscrivere bene l’oggetto della trattazione: i culti afro-brasiliani verranno qui dapprima illustrati nelle loro caratteristiche principali (fenomenologia) e in seguito analizzati dal punto di vista psicologico, teologico e pastorale, anche al fine di valutare la loro eventuale relazione con la pratica dell’esorcismo cattolico.

1. PASSATO E PRESENTE DEI CULTI AFRO-BRASILIANI
La nascita dei culti afro-brasiliani risale al periodo coloniale ed è legata al commercio di schiavi africani trasportati in America quasi subito dopo l’arrivo dei conquistadores spagnoli e portoghesi.
Secondo alcuni studi, il totale di africani deportati assomma a 24 milioni, provenienti per lo più dalle popolazioni yoruba (Nigeria, Benin, Dahomey e Togo) e bantu (Angola, Congo e Mozambico): di questa enorme cifra, peraltro, soltanto la metà riuscì a giungere effettivamente a destinazione, dopo essere sopravvissuta alle disumane condizioni delle traversate in mare. I principali punti di approdo furono i Caraibi e il Brasile.
Durante il periodo coloniale brasiliano, gli africani venduti sulla costa sudamericana erano poi identificati e classificati in base al porto o alla regione di provenienza.

Questa usanza comportò, ad esempio, che l’etnia bantu si articolasse in gruppi, ad esempio: Angola, coloro che si erano imbarcati a Luanda; Benguela, coloro che si erano imbarcati a Benguela; Cabinda, coloro che si erano imbarcati a Cabinda; Congo, coloro che si erano imbarcati a Loango, Malemba e Moçambique (Mozambico); Maputo coloro che si erano imbarcati a Moçambique (Mozambico).
Appena arrivavano in Brasile, gli africani schiavizzati sopravvissuti alla traversata erano immediatamente sottomessi all’inculturazione portoghese, che consisteva anzitutto nella sacramentalizzazione cattolica: venivano battezzati e ricevevano un nome “cristiano” con il quale sarebbero stati chiamati da quel momento in poi.
Al momento dello sbarco venivano ammassati confusamente e soltanto in seguito classificati in base alle loro caratteristiche fisiche in vista dei diversi tipi di lavoro che avrebbero dovuto svolgere. Chi veniva destinato alle miniere non aveva tempo né per riunirsi né per praticare i riti prescritti dalle proprie credenze. Vi si poteva invece dedicare chi veniva assegnato ai lavori agricoli, i cui ritmi di lavoro erano meno rigidi.
Gli schiavi africani si trovarono immersi in una cultura eminentemente europea: l’organizzazione amministrativa, i costumi e i meccanismi sociali erano quelli delle potenze conquistatrici trapiantate sul suolo americano. Questo aspetto — insieme al fenomeno della redistribuzione degli schiavi che, come illustrato sopra, non rispettava le loro origini etniche — provocò la rapida dissoluzione delle varie identità religiose africane e il fenomeno del sincretismo con la fede cattolica .
Alcuni autori sostengono invece che, nonostante gli indubbi cambiamenti a cui le religioni africane andarono incontro nel Nuovo Mondo, esse restarono comunque ben riconoscibili nella loro struttura e forma originarie e dimostrarono di sapersi adattare alle nuove situazioni.
Ad ogni modo, il risultato finale dei culti afroamericani si rivela complesso e fa registrare la mescolanza di almeno quattro elementi:
1. Le credenze e le pratiche africane, che davano forma a una religiosità di carattere fondamentalmente animista e magico. Circondati da una situazione ambientale ostile, gli indigeni africani svilupparono pratiche che pretendevano di sottomettere le potenti forze della natura. Sebbene in alcune occasioni si parlasse di un dio supremo, veniva data maggiore importanza a entità intermedie tra il divino e l’umano: spiriti della natura o antenati. In seguito si analizzeranno più dettagliatamente i principali aspetti dottrinali.
2. La fede cattolica, dalla quale provengono le figure di Cristo, di Maria e dei Santi, oltre a varie pratiche di devozione, oggetti di culto e sacramentali. Gli autori si dividono tra chi considera tutto ciò una pratica di camuffamento delle credenze africane sotto vesti cristiane e chi, al contrario, sostiene l’ipotesi di un’identificazione tra i due poli a partire dall’assimilazione della cultura ambientale.
3. La religiosità dei nativi americani, simile per certi aspetti alle dottrine che venivano dall’Africa, di stampo animista e magico, e caratterizzata da credenze in esseri intermedi.
4. Lo spiritismo contemporaneo. Per strano che possa sembrare, anche questo è un elemento fondamentale per comprendere i culti afroamericani, soprattutto l’Umbanda. Come si vedrà più avanti nella trattazione, questo tratto è decisivo per la valutazione teologica e pastorale di tali culti poiché vi introduce non un fattore religioso tradizionale, ma un contenuto che ha a che fare con l’occultismo: credenza nella reincarnazione, pratiche medianiche, guarigioni, ecc.

Possiamo riassumere come segue la mappa originaria dei culti afroamericani nella sua configurazione attuale:
• il Vudù è proprio di Haiti e Puerto Rico;
• la Santerìa di Cuba e Santo Domingo;
• l’Umbanda e il Candomblè del Brasile;
• lo Shangò o Xangô del Trinidad.

La loro diffusione, tuttavia, si estende anche oltre queste frontiere: si stanno espandendo anche in Argentina, specie l’Umbanda, e soprattutto in Uruguay, dove centinaia di migliaia di abitanti partecipano ad alcuni di questi riti.

2. SINCRETISMI SORTI NEL PERIODO COLONIALE: IL CALUNDU
I Bantu cercarono di preservare le loro tradizioni religiose in Brasile, adattando le loro convinzioni alla schiavitù cui erano sottoposti. Analogamente a quanto i Tupi avevano escogitato decenni prima, anche i Bantu assimilarono i santi cattolici ai loro dèi, le Inchisses, sulla base delle caratteristiche comuni a entrambi.
Alla fine del XVI secolo, all’interno delle senzalas (capannoni in cui abitavano gli schiavi), nacque così la prima manifestazione sincretistica del cattolicesimo bantu in Brasile: il Calundu. Il suo nome deriva dalla parola banto calundu, che fino al XVIII secolo fu usata per indicare genericamente le manifestazioni di pratiche africane legate a danze e canti collettivi, accompagnati da strumenti a percussione, durante i quali avvenivano l’invocazione e l’incorporazione degli spiriti e le conseguenti divinazioni e guarigioni attraverso rituali magici.
Come manifestazione sincretistica bantu-cattolica, il Calundu era organizzato attorno al suo capo di culto e comprendeva un’ampia varietà di cerimonie che associavano elementi bantu (atabaques, trance medianica, bagni con le erbe, indumenti rituali, sacrifici di animali), cattolici (croci, crocifissi, ostie, angeli e santi) e credenze spiritiche europee (divinazione con specchi, spiriti che trasmettono messaggi attraverso oggetti).
Per questo è possibile affermare che ogni unità di culto di Calundu era unica, diversa dalle altre per uno o più elementi ritualistici.
Il Calundu era diffuso sull’intero territorio brasiliano: si registrano testimonianze di questa pratica a Bahia, Pernambuco e Minas Gerais, e in svariate città coloniali della regione mineraria, come Arraial de São Sebastião, Itapecerica, Campanha e Mariana.
Uno dei primi resoconti scritti di Calundu è il Compêndio narrativo do peregrino da América (“Compendio narrativo del Pellegrino d’America”) pubblicato nel 1728 dal viaggiatore portoghese Nuno Marques Pereira. Egli, chiedendo al proprietario della fattoria nella quale era alloggiato cosa fossero i calundus, ottenne la seguente risposta: “Sono dei passatempi o divinazioni che questi neri di solito fanno nelle loro terre, e quando stanno insieme le fanno anche qui, per conoscere molte cose, come le malattie di cui soffrono, e per indovinare dove si trovavano alcuni oggetti smarriti, e anche per avere fortuna quando vanno a caccia, un buon raccolto e altre cose”.
Il resoconto sottolinea inoltre l’apparente tolleranza al Calundu manifestata dai proprietari degli schiavi. Molto probabilmente ciò era dovuto alla loro convinzione che con questa pratica gli africani avrebbero mantenuto vive le rivalità tribali presenti in Africa all’interno degli alloggi degli schiavi, il che avrebbe reso difficile provocare ribellioni o gesti simili. Tuttavia, nonostante questa tolleranza, gli aspetti ritualistici del Calundu legati alla magia e all’incorporazione degli spiriti erano spesso osteggiati perché considerati atti malvagi: da qui nasce l’espressione “cosa di nero” per significare, secondo la mentalità del tempo, una attività magica cattiva.

3. CASE DI CANDOMBLÉ
Durante il XVII e il XVIII secolo, il numero delle città crebbe in tutto il Paese, in particolare nella regione mineraria a causa delle caratteristiche di questa attività economica. Per tale motivo, in tutto il territorio coloniale emerse un nuovo fenomeno: l’aumento del numero di neri e mulatti alforriados (liberti) e di schiavi che circolavano con relativa libertà in queste aree urbane.
È appunto intorno alle residenze di questi neri e mulatti liberti, per lo più capanne e case popolari, che le manifestazioni religiose di origine africana trovarono le condizioni minime per svilupparsi: in tali luoghi, infatti, gli afro-discendenti potevano celebrare le loro feste con una certa frequenza e costruire e preservare gli altari con i contenitori consacrati ai loro dèi. Tale contesto di tipo domestico vide inoltre la nascita, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, di una nuova manifestazione sincretistica brasiliana, che divenne nota a Bahia come Casas de Candomblé.
Il Candomblé si originò dal rafforzamento delle tradizioni religiose conservate nel sincretismo del Calundu e dall’assimilazione di alcune pratiche indigene sopravvissute nei quilombos (insediamenti di neri latitanti) e nei villaggi indigeni che li circondavano.
È interessante notare l’importante relazione di mutuo aiuto che esisteva tra Casas de Candomblé e i quilombos che si trovavano più vicini alle aree urbane.
Poiché servivano da dimora e insieme da luogo di culto, le Casas de Candomblé furono costruite sulla base delle famílias-de-santo (famiglie-di-santo), che stabilirono tra gli aderenti una sorta di parentela religiosa: caratteristica che fu poi assunta anche dalle altre religioni sincretistiche derivate da questo culto.
Tali manifestazioni non possiedono una dottrina formale di culto che funzioni come modello. I loro fondamenti di base sono comuni a tutti i luoghi di culto, i quali tuttavia si differenziano tra loro per piccole variazioni ritualistiche, intrinsecamente legate ai loro capi e che hanno reso ogni luogo unico nella propria forma rituale.

4. I SUDANESI
Dal 1840 in poi, il commercio di schiavi sudanesi si intensificò attraverso la Rota da Mina, che ebbe origine nei porti africani di Lagos, Calabar e, soprattutto, São Jorge da Mina, che superò tutti gli altri per quantità di schiavi deportati in Brasile. Il gruppo etnico sudanese proveniva principalmente dall’Africa occidentale, nella regione in cui oggi si trovano la Nigeria, il Benin, il Togo e il Ghana, ed era formato dalle popolazioni Yorubá, Ewe, Fon e Mahin.
Secondo un meccanismo analogo a quello descritto sopra per il gruppo etnico Bantu, molti schiavi sudanesi divennero noti in Brasile con l’appellativo di mina, dal nome del porto di São Jorge da Mina da cui si erano imbarcati in Africa.
Nel corso del XIX secolo, la rivalità e la differenza culturale tra le popolazioni Yorubá e quelle Ewe, Fon e Mahin, trasportate insieme dall’Africa in Brasile, generò due ulteriori appellativi: mentre il popolo Yorubá venne chiamato in Brasile Mina-Nagô o Nagô, a tutti gli altri fu invece attribuito il nome di Mina-jeje o Jeje, da adjeje, termine yoruba che significa “forestiero”, “straniero”, e che veniva usato in senso dispregiativo dagli Yorubá per designare le persone che vivevano ad est del loro territorio.
• I Nagô avevano come lingua lo Yorubá; adoravano un dio supremo chiamato Olorun o Olodumaré e deificavano la natura personificandola nelle divinità chiamate Orixá, circa 400 e, in genere, ciascuna venerata in una sola città, villaggio o tribù (alcune, invece, avevano il culto in diverse località).
• I Jejes adoravano una divinità suprema chiamata Mawu e la natura divinizzata, personificata nelle divinità chiamate Voduns, circa 450 e anch’esse, per lo più, ciascuna oggetto di culto in una sola città, villaggio o tribù.

Come i Bantu, anche gli schiavi sudanesi portarono in Brasile parte della loro cultura e delle loro credenze religiose, gradualmente introdotte in alcune manifestazioni sincretistiche, molte delle quali basate sulle Casas de Candomblé.

5. I SINCRETISMI SORTI IN BAHIA DURANTE IL PERIODO IMPERIALE: IL CANDOMBLÉ DE NAÇÃO
Nel secolo XIX l’intensificarsi delle aggiunte di elementi sudanesi alle Casas de Candomblé diede origine a una nuova religione sincretistica brasiliana nota come Candomblé de Nação (Candomblé della Nazione), che contiene al suo interno tre modelli di culto relativi ai principali gruppi etnici (Nazioni) portati come schiavi in Brasile, ossia il banto, il sudanese nagô e il sudanese jeje.
1. Il modello di culto Bantu è il più diffuso in Brasile e si trova per lo più negli stati di Bahia, Rio de Janeiro, San Paolo, Pernambuco, Minhas Gerais, Goiás e Rio Grande do Sul. Ha origine dalle Nazioni di Angola, Congo e Muxicongo, e si differenzia a seconda della lingua di origine bantu usata nei rituali, che, tuttavia, mostrano una grande somiglianza tra loro, al punto che alcuni studiosi ritengono che tutte le Nazioni si siano fuse nell’Angola.
2. Il modello di culto Sudanese Nagô fa riferimento alle Nazioni Ketu (o Queto), Efan e Ijexá. Il Candomblé della Nazione Ketu è attualmente il più diffuso grazie all’elevato numero di scrittori e cantanti di Bahia che iniziarono a divulgarlo; esso è praticato in quasi tutto il Brasile, principalmente a Bahia. Il Candomblé de Nação Efã è praticato principalmente negli Stati di Bahia, Rio de Janeiro e San Paolo. Il Candomblé de Nação Ijexá è praticato principalmente a Bahia.
3. Il modello di culto sudanese Jeje ha avuto origine dalle Nazioni Jeje-Fon e Jeje-Mahin. Sia il Candomblé della Nazione Jeje-Fon che il Candomblé della Nazione Jeje-Mahin sono praticati principalmente a Bahia e si possono trovare anche a Rio Grande do Sul, Pernambuco e San Paolo.

Sfruttando la relativa libertà religiosa dei secoli XX e XXI, i seguaci del Candomblés de Nação cercarono di riprodurre sul suolo brasiliano il modo in cui le loro divinità venivano adorate dai loro antenati africani: alcuni condussero ricerche nei villaggi e nei templi africani per imparare rituali risalenti al periodo della schiavitù.
I Candomblés de Nação Angola, Congo e Muxicongo rendono culto a un dio supremo chiamato Nzambi o Zambi (noto anche come Nzambi Mpungu o Zambiapongo) e alla natura deificata, personificata nelle divinità chiamate Inchisses. Vengono suonati con le mani gli atabaques, e i canti hanno molti termini portoghesi.
I fondamenti dei Candomblés de Nação del modello di culto bantu — molti dei quali includono o sono basati su storie, leggende e miti riguardanti le Inchisses — sono trasmessi per via orale dai sacerdoti della religione, chiamati Tata Nkisi se maschi o Mametu Nkisi se femmine.
Per raggiungere il grado di sacerdote nella Nazione Angola, è necessario passare attraverso sette rituali, gli ultimi quattro legati al tempo di iniziazione alla religione (1 anno, 3 anni, 5 anni e 7 anni), durante i quali sono tramandate le tradizioni religiose, le danze, i canti, le preparazioni di cibi sacri, la cura degli spazi sacri e i voti di segretezza e obbedienza. Dopo aver completato questa fase, il nuovo sacerdote deve rinnovare gli obblighi maggiori ogni 7 anni per mantenere la sua forza.
Oltre al gioco dei búzios, i Candomblés de Nação Angola, Congo e Muxicongo, usano un altro sistema divinatorio chiamato Ngombo, il cui responsabile è noto come Kambuna.
Il termine “Nazione” associato al nome della religione fu adottato dagli aderenti al culto con l’obiettivo di identificare quest’ultimo associandolo all’etnia africana da cui si era originato.

6. CREDENZE E RITI PRINCIPALI
6.1 Candomblé
Il Candomblé è una religione afrobrasiliana tuttora praticata in Africa e in Brasile, ma anche in Uruguay, Paraguay, Argentina e Venezuela, e inoltre diffusa in alcuni paesi europei (Portogallo, Spagna, ecc.). È una religione di origine africana (Nigeria, Togo, Congo, ecc.) e consiste nel culto degli Orixá, che non sono divinità, ma spiriti, considerati emanazioni del dio unico, Olorun.
Essendo culla delle religioni afrobrasiliane, il Candomblè verrà qui presentato con abbondanza di dettagli, che serviranno a comprendere anche le altre manifestazioni da esso nate o ad esso legate.
Gli orixá rappresentano archetipi antropologici. Vi sono associati determinati colori, attività umane, tipi di alimenti, erbe mediche, ecc. Essi trasmettono agli umani l’axé, cioè l’energia universale che è in tutte le cose e nei viventi. Uno solo di essi è di origine umana: Omolu, detto anche Obalauê.
Questa religione è giunta in Brasile dall’Africa, portata da sacerdoti africani e fedeli che erano stati deportati come schiavi. La parola Candomblé (di origine bantu) sembra significasse “danze di negri”, ed è anche il nome di un antico strumento.
Il Candomblè, a differenza degli altri culti sincretistici, conserva più aspetti della sua origine africana, quali la lingua, gli abiti colorati, i costumi, ecc. Prevede la realizzazione di sacrifici animali e non crede nella reincarnazione. Spicca per la sua marcata segretezza e per l’assenza di libri ufficiali sistematici. I suoi rituali cercano di attrarre il favore degli orixà e di allontanare l’azione degli exùs: a tal fine vengono utilizzate pratiche magiche in cui si mescolano vegetali con pietre, polveri, terra proveniente da cimiteri, ecc. Uno dei rituali, detto fazer cabeza (“fare testa”), ha come obiettivo la vendita a un orixà dell’anima dell’adepto, vincolato così al suo culto in modo permanente e indissolubile.

6.1.1 DIFFUSIONE
In origine bandito dalla Chiesa cattolica e perfino ritenuto un crimine da alcuni governi, il Candomblé – all’inizio praticato solo dalla popolazione in schiavitù – è sopravvissuto per secoli e si è molto diffuso nel XIX secolo, anche dopo la fine della schiavitù. Ora è una religione ampiamente diffusa, con seguaci appartenenti a tutte le classi sociali e decine di migliaia di templi o terreiros. Durante un recente censimento, circa due milioni di brasiliani (1,5% della popolazione) si sono detti seguaci del Candomblé. Nella cultura brasiliana le religioni non sono avvertite come reciprocamente esclusive: pertanto molte persone che praticano abitualmente altre confessioni partecipano regolarmente anche ai rituali del Candomblé, le cui divinità, festività e riti sono ormai parte integrante del folklore brasiliano.
La nascita e lo sviluppo istituzionalizzati di questa religione in Brasile sono abbastanza recenti. Il Candomblé nacque grazie ai sacerdoti africani e alle sacerdotesse africane che giunsero nel Nuovo Mondo come schiavi nel periodo dal 1549 al 1888. In questi secoli, i missionari cattolici convertirono in massa gli schiavi, i quali tuttavia mantennero sotterraneamente vive le loro tradizioni religiose. Fu così che il culto degli Orixà venne associato a quello dei santi cattolici : ancora oggi a ciascuna delle divinità del Candomblé corrisponde una figura del culto cristiano.
Durante il periodo finale della tratta degli schiavi (ultimo decennio del XIX secolo), gli schiavi portati in Brasile dai portoghesi si trasferirono nelle città, dove aumentarono notevolmente le loro possibilità di aggregazione, di confronto e scambio, anche fra diverse etnie (un contatto impossibile nelle fazendas, in cui gli schiavi di diversa provenienza erano spesso suddivisi in differenti senzalas). Allo stesso tempo, gli ex-schiavi si ritrovarono liberi dall’influsso del cattolicesimo. Sulla base di questi nuovi stimoli, si formarono nuovi gruppi di culti, spesso organizzati in irmandades (confraternite).
Il Candomblé nacque a Salvador di Bahia, definita da Roger Bastide la “Roma Nera” a causa del grandissimo numero di schiavi deportati nell’ultimo periodo della tratta: è la religione afro-americana che più si è mantenuta fedele alla matrice d’origine, reinventata e riformulata in Brasile dagli schiavi.
Oggi il governo brasiliano riconosce e protegge il Candomblé e sovvenziona certi terreiros, specie a Salvador di Bahia.
La religione ha avuto un enorme sviluppo negli ultimi dieci anni: oltre che in Brasile, si sta infatti diffondendo in altri stati nel mondo come il Portogallo (a Lisbona), la Francia (a Parigi), l’Inghilterra (a Londra) e l’Italia (a Milano, dove si pratica il Candomblé esattamente come in Brasile).

6.1.2 ARTICOLAZIONE
Gli schiavi brasiliani erano originari di svariati gruppi etnici, tra cui gli Yoruba, gli Ewe, i Fon, i Bantu, i Nagò, ecc. I mercanti di schiavi li classificavano secondo il porto di imbarco: pertanto la loro vera origine etnica poteva non corrispondere a quella che veniva loro attribuita. Siccome il Candomblé nacque quasi in modo indipendente in ciascuna di queste “nazioni”, per mancanza di un’autorità centrale, si articolò dunque in varie “sette”, assumendo spesso nomi che derivavano dallo specifico luogo di origine: per questo il termine “Candomblé” designa vari riti, i cui seguaci vengono anch’essi identificati a seconda della “nazione” di appartenenza. È possibile distinguere queste nazioni in base a vari elementi: il modo di suonare l’atabaque, ossia il tamburo rituale che accompagna con la musica l’intera cerimonia (con le mani o con le bacchette), la musica, la lingua usata nei canti religiosi, i nomi delle divinità, i colori e la foggia dei costumi, il modo di ballare, alcune differenze nei rituali.
La divisione in nazioni è stata influenzata anche dalle confraternite religiose di schiavi brasiliani (Irmandades) organizzate dalla Chiesa cattolica tra il XVIII secolo e il XIX secolo: articolate in gruppi etnici per favorire la predicazione nelle lingue madri degli schiavi, esse diedero legittimità alle loro riunioni e possono aver contribuito all’affermazione del Candomblé.
Nella cosiddetta nazione Ketu, a Bahia, predominano gli Orixà e i riti di origine yoruba. La nazione Angola, di origine bantu, adotta il pantheon degli Orixà yoruba e incorpora molte delle pratiche iniziatiche della nazione Ketu. Il suo linguaggio rituale, anche se intraducibile, si originò dalla lingua quicongo. In questa nazione è fondamentale il culto dei caboclos, gli spiriti degli indios che i primi africani arrivati in America considerarono spiriti ancestrali brasiliani e pertanto degni di essere venerati nel nuovo territorio.
Presentiamo qui una classificazione delle maggiori nazioni e sotto-nazioni e dei loro linguaggi sacri:
• Yorubá (Iorubá o Nagô in Portoghese);
• Ketu o Queto (Bahia e la maggior parte degli stati brasiliani);
• Efã (Bahia, Rio de Janeiro e San Paolo);
• Ijexá (Bahia);
• Nagô Egbá o Xangô do Nordeste (Pernambuco, Paraíba, Alagoas, Rio de Janeiro e San Paolo);
• Oió-ijexá o Batuque-de-Nação (Rio Grande do Sul);
• Mina-nagô o Tambor-de-Mina (Maranhão);
• Xambá (Alagoas e Pernambuco), quasi estinto;
• Bantu o Angola, mescolanza di lingue Bantu, (Kikongo e Kimbundo);
• Candomblé de Caboclo (diffuso tra le popolazioni indios; rende culto a divinità indigene accanto agli orixá);
• Jejé (questo termine deriva dallo yoruba adjeje, che significa “straniero”), lingue Ewe, Fon, e Gen;
• Mina Jejé (Maranhão);
• Babaçuê (Pará);

6.1.3 COSMOGONIA E DIVINITÀ
Nonostante il pantheon di divinità sia numeroso, il Candomblé non è propriamente una religione politeista: esiste un principio primo — chiamato Olorun dalla nazione Ketu; Zambi o Zambiapongo dalla nazione Bantu; Mawu dalla nazione Jeje — da cui provengono gli Orixà (divinità) a cui ha delegato il suo potere. La maggior parte dei brasiliani lo identifica con il Dio cristiano.
Il Candomblé cerca un rapporto armonioso ed equilibrato fra tutte le parti che compongono l’essere umano, il cosmo e la società. L’universo sacro è reale e i fedeli partecipano al mondo invisibile; il mondo sacro esiste, si può sentire ed entrarci in comunicazione. Generalmente chi pratica il Candomblé nutre una profonda fede nelle “energie superiori” della natura. Ogni persona è un frammento della divinità, dalla quale ha ereditato le caratteristiche fisiche, psichiche ed energetiche. La continuità e l’equilibrio con l’universo sacro e la natura si acquisiscono attraverso una forza magico-sacra che fluisce in tutte le cose, piante, animali, esseri umani, chiamata axé. L’axé può diminuire, aumentare ed essere distribuito attraverso riti che hanno la finalità di portare benessere ed equilibrio alla comunità o all’individuo con il cosmo, la natura e le altre persone. Il fondamento del Candomblé è la vita vissuta bene ed ora.

6.1.4 GLI ORISHÀ O ORIXÁ
Gli adepti del Candomblé credono negli Orixá, divinità che possiedono una personalità propria e ciascuna associata ad un fenomeno naturale specifico e a certi colori. I miti raccontano una grande quantità di insegnamenti mistici legati all’elemento naturale caratteristico del particolare Orixà. Ciascuno degli elementi della natura ha inoltre delle sotto-categorie: ad esempio, nel caso dell’acqua, c’è l’acqua dolce e l’acqua salata.
L’Orixá, detto anche santo in seguito al sincretismo con i santi cattolici, si impossessa del credente e si serve di lui come strumento per comunicare con i mortali. Tra gli adepti al Candomblé è diffusissima la credenza secondo cui ogni persona possiede una divinità protettrice chiamata Orixá de cabeça (di testa), o Orixá de frente (“di fronte”), che fa assumere involontariamente ai suoi protetti, chiamati filhos (figli) o filhas (figlie), tutte le sue caratteristiche positive e negative.
Gli Orixás ascoltano le richieste, danno consigli, concedono la grazia, curano le malattie e consolano nel momento del bisogno. Il mondo celeste non è distante né superiore e il credente può conversare direttamente con la divinità e chiederle benefici.
Gli Orixás ricevono omaggi sotto forma di offerte (ebò), danze sacre e canti. Il tempio dove si svolgono le cerimonie e la vita del sacerdote o della sacerdotessa (pai de santo o mãe de santo) e dei suoi filhos de santo e filhas de santo, si chiama terreiro (aia).
Il Candomblé rende omaggio complessivamente ad un centinaio di divinità, di cui solo una dozzina onorate ad ampio raggio nella maggior parte dei terreiros delle grandi città come Salvador di Bahia o Rio de Janeiro.
Anche se esistono tratti riconosciuti e noti a tutti, ciascun Orixá ha una propria personalità e un proprio sistema cultuale, che può cambiare non solo da nazione a nazione ma anche da terreiro a terreiro,
D’altro canto, Orixás con caratteristiche simili possono essere considerati come distinti; ad esempio Kabila della nazione Bantu, Oxóssi della nazione Ketu e Otulu della nazione Jejé sono tutti cacciatori e hanno gli stessi colori simbolici, ma non vengono identificati.
Esistono poi due importanti personaggi indipendenti dal mondo degli Orixà ma con il quale interagiscono: l’oracolo Ifà e il messaggero Exù. Si tratta di due elementi riscontrabili costantemente nei culti afro-americani: Ifà lavora per portare agli uomini le parole degli Orixá ed è situato in posizione superiore ad Exù, il cui compito è invece quello di trasmettere agli Orixá i desideri degli uomini. Tuttavia Ifà è oggi ricordato solamente per le più modeste mansioni di oracolo.

6.1.4.1 ORIGINI E CARATTERISTICHE — OLORUN
Gli orixà furono creati da Olorun, il Dio unico del popolo Yoruba, per rappresentare tutti i suoi domini sulla terra, e quindi con il duplice scopo di proteggere l’esistenza dei fedeli e di guidarla attraverso una elaborata rete di leggende, norme, racconti mitologici che caratterizzano le singole divinità, paragonabili a quelle dell’Olimpo greco in quanto dotate di vizi e difetti umani.
Olorun è la divinità suprema e il creatore della popolazione africana Yoruba. Il suo nome significa etimologicamente “il signore del cielo” (olo = “signore” e orun = “cielo”). È il dio della pace, dell’armonia e della purezza. È associato al colore bianco e controlla tutto ciò che ha questo colore, come le ossa, il cervello e le nuvole. Olorun creò l’universo, fissò il giorno e la notte, ordinò le stagioni e stabilì il destino degli uomini. Non si occupa direttamente degli affari umani: la sua potenza sarebbe altrimenti troppo grande e potrebbe inavvertitamente distruggere ogni essere umano che incontrasse. Olorun è infatti anche colui che introdusse la morte per gli uomini: un tempo essi non morivano, ma crescevano fino a diventare altissimi, poi iniziavano ad invecchiare facendosi sempre più piccoli e deboli; dato che la loro massa era diventata enorme, gli uomini chiesero a Olorun di liberarli da una vita troppo lunga, ed è per questo che i vecchi muoiono.
Nel pantheon degli Yorubá, costituito da circa 1.700 divinità, la carica di Olorun può essere descritta come “capo dei capi dei sacri misteri della alta corte del paradiso”. In questo compito ha come braccio destro Ofun, che è l’unico tra i 16 Odu dell’Ifa che viene chiamato Hepa. È il padre di Oduduá e Obatalá. Nella gerarchia dei cieli, sotto Olorun si trova Eledá.
Dalla sua energia si sprigionarono gli irunmale che sono suddivisi in orishà (energie mascoline) ed eborà (energie femminili). Olorun non ha né templi né culti propri e gli esseri umani non possono menzionare il suo nome. Gli irunmale sono gli intermediari tra lui e gli esseri umani.
È conosciuto anche con i nomi Ogus, Olofin-Orun (signore del cielo), Olodumarè (onnipotente) e Yansan.
Nella mitologia vengono menzionate circa 600 divinità primarie, divise in due gruppi, uno legato al culto dell’elemento celeste e l’altro a quello dell’elemento terrestre.
Questa religione ha scavalcato i confini delle terre Yorubá assieme ai deportati africani e si è diffusa in America intorno al XVIII secolo, mescolandosi sia con i culti indigeni del continente sia con elementi della tradizione cattolica, dando vita — grazie ad un sincretismo religioso e ad un fenomeno transculturale — a una fusione di riti, credenze e pratiche diversificate a seconda del luogo di formazione, e denominate Candomblé in Brasile, Santeria a Cuba, Vudù ad Haiti.
Ogni Orixá venne associato a un santo cattolico, sulla base di una caratteristica comune di vita o di somiglianze nelle rappresentazioni iconografiche o ancora di analogie nelle prerogative e nei poteri degli uni e degli altri. Se inizialmente questa identificazione serviva per camuffare il nuovo culto e preservarlo dalla persecuzione dei dominatori europei, con il passare degli anni si è rafforzata sempre più, al punto che i seguaci non disdegnano la pratica di riti cattolici.
Questa articolata e variegata forma di spiritualità si è diffusa in un considerevole numero di nazioni: Nigeria, Benin, Togo, Ghana, Brasile, Cuba, Repubblica Dominicana, Guyana, Haiti, Giamaica, Porto Rico, Suriname, Trinidad e Tobago, Stati Uniti, le Indie orientali, Venezuela, Paraguay, Uruguay, Argentina, Canada, Italia, Portogallo, Germania, Inghilterra, Svizzera.
Gli orixà, che solitamente in vita erano uomini importanti dotati di potere, vengono propiziati tramite riti sacrificali, offerte floreali e culinarie che rispettino i loro gradimenti, e spesso in loro onore vengono praticate danze ispirate alla loro vita. Gli orixà posseggono i loro fedeli iniziati, trasferendo su di loro non soltanto poteri ma anche alcune caratteristiche della divinità stessa.

6.1.4.2 ORIXÁ PIÙ CONOSCIUTI
• Aialamô, orixá dei bimbi ancora non nati della nazione Yorubà. È sua responsabilità, sostiene questa mitologia, badare al luogo in cui sono raccolti gli spiriti dei bimbi che nasceranno.
• Baiani, orixá anche chiamato Dadà Ajakà.
• Babalú Ayé (noto anche con i nomi di Omolu, Shonponno, Obaluaiê): è un importante orixá della mitologia yorubá e delle religioni afroamericane derivate. È il figlio di Yemajá e Orungan e anche suo marito incestuoso.
• Egungun, ancestrale adorato dopo la morte in case separate degli Orixá.
• Eledà, orixá del destino.
• Eleguà: presente con Orumila al tempo della creazione, è l’orixá che presiede a tutti gli incroci della vita, aiutando o dirottando il destino. È il messaggero degli dèi, in quanto tale associato anche al Mercurio pagano.
• Eshu, orixà guardiano di templi, case, città e persone, messaggero divino degli oracoli. Detto anche Esu, Exú, Eleguá o Elegbá, è una delle divinità più rispettate nella religione yoruba e nei culti sincretistici correlati, quali Santeria e Candomblé, in cui è talvolta identificato con Sant’Antonio o San Michele. Spesso viene confuso con il demonio e considerato una personificazione del male. Svolge il ruolo di intermediario fra gli dèi (gli Orixà) e l’uomo. A lui vengono attribuiti i colpi di fortuna, le intuizioni geniali, il buon successo nel commercio e nelle imprese di qualsiasi genere; per questo motivo, lo si invoca all’inizio di ogni attività e di ogni rituale religioso e magico; è inoltre l’ultimo al quale si rivolgono le attenzioni e le invocazioni dei fedeli, visto il suo ruolo di messaggero e di protettore dei responsi. È anche il protettore dei viaggiatori e il dio delle strade e in particolare degli incroci, dove vengono lasciate offerte in suo onore; è anche il custode della casa. È associato alla fertilità e viene spesso raffigurato con appariscenti organi sessuali. In suo onore è consigliabile collocare una pietra dalla forma umanoide dietro la porta e sul pavimento. Il suo giorno è il lunedì, ma molti fedeli lo festeggiano anche il terzo giorno di ogni mese. Protegge anche dalla povertà e dalla morte per emorragia. I suoi colori sono il rosso e il nero. Predilige i giocattoli dei bambini, le monete e gli attrezzi per la pesca. I suoi animali prediletti sono galli, polli e tartarughe. Il suo simbolo è una collana imperlata con elementi rossi e neri che rappresentano i due poli opposti: la vita e la morte, la guerra e la pace, la sfortuna e la buona sorte. La sposa di Eshu è la sensuale Pomba-Gira (detta Vira nel Candomblé), che simboleggia la seduzione, la condotta lussuriosa (fino all’omosessualità e al sadomasochismo) e il cui aiuto viene invocato per risolvere problemi sentimentali o sessuali. Gli Exu (maschili e femminili), nella tradizione Umbanda e Quimbanda, presentano alcuni elementi riconducibili a Eshu, ma sono spiriti dei morti e non propriamente dèi; sono sempre imbroglioni, truffatori, venali.
• Ibeji, orixá gemelli. L’alta frequenza di parti gemellari e l’elevata mortalità infantile hanno dato vita ad un culto basato sulla credenza che lo spirito del gemello che muore possa essere intrappolato in una statuetta realizzata e custodita per l’occasione. A questo scopo tali statuette sono accudite come se fossero vive: si provvede alla loro pulizia, abbigliamento e alimentazione.
• Ifá oppure Orunmilá-Ifá, orixá della divinazione, del destino e del tempo. È il portavoce di Orunmila, da cui prende il nome anche una tecnica di divinazione originaria dell’Africa occidentale. Secondo il Candomblé, Ifà non è un orixà vero e proprio in quanto non trasmette axè. Fu il primo spirito generato dal dio unico Olorum. Ifà è soprattutto un oracolo, portavoce di Orulá, attraverso il quale parla con gli dèi e gli spiriti del mondo. Gli viene però tributato un vero e proprio culto sia nella tradizione yorubá che in altre derivate come il Voudou. I riti del culto di Ifà sono al tempo stesso atti divinatori. Nel Voudou brasiliano, i sacerdoti babalawos del culto di Ifà entrano in trance per comunicare con l’oracolo in una lingua esoterica che corrisponde allo yorubá antico. Nella Santeria, invece, essi entrano in trance attraverso la lettura di 16 conchiglie, legate da una cordicella, denominata collare di Ifà (da cui il nome della religione); attraverso questo dialogo ricevono rivelazioni sul futuro da comunicare al proprio popolo.
• Irokô, orixá dell’albero sacro.
• Iyami-Aié, sacralizzazione della figura materna.
• Logunedê, orixá giovane della caccia e della pesca.
• Nanã, orixá femminile della palude e della morte, mamma di Babalú Ayé (Obaluaiyê), Iroko, Oxumarê, Ossaim e Yewá, orixá di origine daomeana.
• Obá, orixá femminile del fiume Obá, una delle spose di Shangô.
• Obatalá, OrixaNlá, oppure Oxalá, è il padre benevolo degli orixá e dell’umanità. È l’unico ad aver assistito alla creazione e a cui fu dato l’incarico di creare gli uomini da Oloddumaré, stanco del lavoro svolto per la creazione dell’universo e desideroso di evitare che un suo eccessivo potere distruggesse l’umanità. Il più rispettato, padre di quasi tutti gli Orixá e creatore del mondo e dei corpi umani, è però un guerriero comprensivo e pacifico. Veste di bianco perché il bianco comprende tutti i colori della luce e quindi tutte le divinità. Ha sia sembianze maschili sia femminili. È il padre della giustizia e delle menti, il re dall’abito immacolato. In Brasile è chiamato Oxala Dolokum. Nella reinterpretazione cubana si sincretizza con Nostra Signora della Misericordia (anche perché gli abiti di questa confraternita sono bianchi) e diviene signora del fulmine, insieme a San Giuseppe e al Sacro Cuore di Gesù: si tratta di un efficace esempio del sincretismo generato dalla mancanza di catechesi e talora anche delle nozioni più elementari della vita dei santi. Si festeggia il 24 settembre o il 25 dicembre. AMALÁ : 14 candele bianche, acqua minerale, canjica bianca all’interno di alguidar (stoviglia) bianca, nastri e fiori bianchi. Il luogo di consegna deve essere molto bello e pieno di pace, come una collina pulita, o vicino a un’offerta a Iemanjá, sulla spiaggia. ERBE: Poejo, camomilla, Chapéu de Couro, Erva de Bicho, chiodo di garofano, coriandolo, geranio bianco, Arruda, Erba Cidreira, Erba di S. Giovanni, Hortelã-Alevante, rosmarino del campo, Erba di Oxalà (Boldo), foglie di girasole, foglie di bambù.
• Oddua, orixá che riceve i babalawi nell’ifà. È la rappresentazione maggiore degli Eggun (morti) e dunque conosce tutti i segreti e i misteri della morte.
• Oddè, orixá padre di Oxóssi, insieme al quale presiede alla caccia.
• Odùduwà, orixá anche riconosciuto come creatore del mondo, padre di Oranian e degli Yorubá. Viene considerato il primo re del regno Yorubá cui si attribuisce l’unificazione di tutti i regni locali in un unico grande regno. Secondo la Santeria, la sua figura è sincretizzata con Gesù Cristo. È il signore della solitudine, dei misteri e dei segreti della morte, e corrisponde alla figura dell’antenato deificato. Il suo regno attuale sono le tenebre della notte e risulta di difficile identificazione perché è privo di forma, essendo un corpo spirituale che emana solo una fioca luce fosforescente.
• Ogun, orixá del ferro, della guerra, della caccia, dell’agricoltura e della tecnologia nella mitologia yorubá. Tra le sue caratteristiche si può aggiungere quella di protettore dei fabbri, dei meccanici, degli scultori e dei militari; protegge anche dalla febbre e da tutti gli infortuni procurati dai metalli; nel Voudoù haitiano è considerato un Loá (spirito) oltre che un Orixà. Nelle raffigurazioni appare abitualmente nella posa di guerriero, con in mano un machete o una sciabola; veste con colori viola e porta attorno alla vita un gonnellino che lo preserva dai mali del mondo. È uno dei mariti delle Erzili, spiriti della bellezza e della grazia femminili, e anche marito di Oshun e Oyá nella mitologia africana degli Yoruba. È incaricato di procurare il cibo a tutti gli orixá. COLORE: Rosso e Bianco. AMALÁ: 14 candele bianche e rosse o 7 bianche e 7 rosse, birra bianca in coité, 7 sigari, pesce con squame e di acqua dolce o gamberi essiccati, arachidi e frutta, mango (meglio se della specie spada). CONSEGNA: in un prato. ERBE: Aroeira, Pata de Vaca, Carqueja, Losna, Comigo Ninguém Pode, foglie di melograno, Spada di San Giorgio, Freccia di Ogum, Cinque Foglie, Macaé, foglie de Jurubeba.
• Olokun oppure Ogun, orixá divinità del mare. Nella mitologia yorubá è un eroe diventato poi orixá, androgino, un misto tra uomo e donna e viene considerato il protettore degli schiavi africani trasferiti nelle Americhe. È la personificazione di diverse caratteristiche umane, quali la pazienza, la meditazione, l’osservazione, le visioni future. Le sue caratteristiche si trovano e sono visibili sul fondo dell’oceano. Olokun governa le ricchezze materiali, le abilità psichiche, i sogni, la meditazione, la salute mentale. In Nigeria e in Benin, Olokun è adorato assieme a Mami Wata, in quanto le due divinità posseggono temperamento e personalità simili. Nei culti afrocubani Olokun viene collegato a Yemajá, visto che entrambi sono associati agli stessi elementi della natura: il mare e l’acqua. Nella sua versione femminile, Olokun è la moglie di Olorun e la madre di Obatalá.
• Olossá, orixá divinità dei laghi.
• Onilê, orixá legato al culto della terra.
• Oranian, orixá figlio più giovane di Odùduwà.
• Oko, orixá dell’agricoltura.
• Orulá o Orumilá, orixá della divinazione e del destino, manifestato dal santero o dal babalawô attraverso la lettura di 12 o 16 conchiglie legate da una cordicella chiamata “collare di Ifá” (da cui il nome della religione) e che vengono gettate su una tavola di legno circolare che rappresenta il mondo.
• Oshun oppure Oxum, orixá femminile dei fiumi, dell’oro e dell’amore, e protettrice dei bambini e delle madri. Eternamente allegra, viene annunciata dal tintinnare dei campanelli e dai suoi cinque bracciali. Viene invocata anche per assistere le partorienti e per problemi d’amore. Oshun, detta anche la Venere africana, una volta salvò l’umanità avvisando Olofin (Dio): dunque è menzionata anche come la messaggera di Olofin. In aggiunta agli attributi precedenti, in Brasile è orixá della ricchezza, del benessere, del bilancio. La divinità è sincretizzata con diverse Nostre Signore: a Bahia, con Nossa Senhora das Candeias o Nossa Senhora dos Prazeres; nel sud del Brasile, con Nossa Senhora da Conceição; nel centro-est e nel sudest, è talora associata a Nossa Senhora o a Nossa Senhora Aparecida. Il suo nome deriva dal fiume “Rio Oshun”, che scorre nella terra Yorubá (attuale Nigeria). La mitologia e la religiosità yorubá presentano Oshun come la responsabile delle forze cosmologiche, dell’armonia, dell’attrazione e soprattutto delle forze dell’acqua; è inoltre onnipresente e onnipotente. Seguendo i dettami dell’antica tradizione, Oshun è stata l’unica donna inviata da dio per creare il mondo, ecco perché viene definita “la dolce Madre di tutti noi”. COLORE: Giallo. AMALÁ: 7 candele bianche e 7 giallo-chiaro, acqua minerale e canjica bianca. CONSEGNA: a fianco delle cascate. ERBE: Erba Cidreira, Zenzero, Camomilla, Arnica, Trifoglio Aspro o grande, Pioggia d’Oro, Basilico, Erba di Santa Maria, Calendola.
• Ossaim oppure Osanyin, orixá delle erbe medicinali e dei segreti medicinali.
• Oxaguian, orixá giovane e guerriero.
• Oxalufon, orixá vecchio e saggio.
• Oxóssi, orixá della caccia e dell’abbondanza. COLORE: Verde e Bianco. AMALÁ: 7 candele verdi e 7 candele bianche, birra bianca in coité, 7 sigari, pesce con squame e di acqua dolce o una moganga ben cotta con dentro mais coperto di miele. CONSEGNA: all’ingresso della foresta (come per Ogum). ERBE: Malva Rosa, Mille Foglie, Sette Salassi, foglie di mastice, foglie di Fava de Quebrante, foglie di felce, foglie di palma, foglie d’arancio, Erba Cidreira, foglie di Jurema, foglie di Passiflora, foglie di Palmito, foglie di avocado.
• Oxumarê, orixá della pioggia e dell’arcobaleno.
• Oyá o Iansã, orixá femminile dei venti, dei fulmini, del terremoto, delle tempeste e del Rio Niger. Governa i fenomeni naturali intensi ed impetuosi. Incarna diverse potenze. Viene definita “Madre del Caos” in quanto propiziatrice di cambiamenti e spesso di devastazioni; forse per questa ragione è considerata signora del fuoco, che spesso tiene in mano nelle sue rappresentazioni. Inoltre è anche “guerriera” e patrona dell’abilità femminile di governare. Tra le molteplici funzioni di Oyá c’è anche quella di accompagnatrice dei morti. È stata la moglie di Ogun, ma successivamente ha sposato Shangô, il dio del tuono. È dotata di un grande potere e, forse per ricordarlo ai suoi devoti, nelle raffigurazioni spesso danza con un’arma in pugno, il machete, che utilizza per scacciare i fantasmi. Vive alle porte dei cimiteri ed insieme ad Obatalá, Elegguá e Obbá è uno dei 4 venti, fenomeno naturale che comanda con i suoi iruche (strumenti a coda di cavallo); la sua gestualità è uguale a quella del suo sposo. Il suo giorno è il venerdì o il sabato; i suoi numeri sono il 9, il 19, il 29, il 39, il 49, il 99 e i multipli di 9; le appartengono tutti i colori tranne il nero. In Africa, nella religione tradizionale yorubá, le è stato assegnato il ruolo di patrona del fiume Niger e i suoi nove figli sono i nove affluenti del fiume. Viene invocata affinché trasmetta la saggezza necessaria per superare situazioni difficili. In Nigeria, il suo culto è praticato dai devoti nelle loro stesse abitazioni, all’interno delle quali viene allestito un altare, caratterizzato da un vaso coperto circondato da amuleti e vari oggetti magici dotati di valenze simboliche: corone di rame, una spada, perle di vetro colorato, corna di bufalo. Per ingraziarsi la dea, i suoi seguaci le offrono i suoi cibi preferiti, quali melanzane e torte a base di fagioli. È sincretizzata con Santa Barbara, Nostra Signora della Candelora, Giovanna d’Arco e Santa Teresa del Bambin Gesù. Si festeggia il 4 dicembre e il 2 febbraio. COLORE: Giallo oro. AMALÁ: 7 candele bianche e 7 di colore giallo scuro, acqua minerale, acarajé o pannocchie di mais ricoperte di miele o canjica gialla e fiori gialli. CONSEGNA: in una pietra accanto a un fiume. ERBE: Catinga di Mulatta, Cordone di Frate, Gerani rosa o rosso, Azucena, foglie di rosa bianca, Erba di Santa Barbara.
• Shangô oppure Xangô, oppure Changô, orixá del fuoco e del tuono, protettore della giustizia. Ha un carattere violento e vendicativo, cacciatore e saccheggiatore, virile e coraggioso; è un giustiziere e castiga i bugiardi, i ladri e malfattori. Per queste caratteristiche, sia in epoca coloniale che post-coloniale, Shango è stato frequentemente considerato come il simbolo della lotta dei neri contro l’oppressione da parte dei bianchi. A seconda delle tradizioni, Shangô viene annoverato come figlio della dea-madre Yemajá o di Obatalá, messaggera e intermediaria degli dèi, che lo avrebbe concepito con Aganju, signore del fiume. Ha avuto numerose mogli e amanti, fra cui spiccano le figure di Obá (la prima moglie), Oxum (la seconda) e Oyá (la moglie preferita). Viene spesso rappresentato con un’arma chiamata Oxê, un’ascia bipenne, che rappresenta l’azione rapida ed efficace della giustizia. Negli altari in onore di Shangô compare spesso una scultura che rappresenta una donna dallo sguardo tranquillo e distaccato nell’atto di donare la bipenne al dio-eroe. Nel culto yorubá di Shangô vengono spesso impiegate maschere con le sembianze di una testa di ariete. Questo elemento ha portato diversi studiosi, fra cui Basil Davidson, a postulare un legame fra la cultura yorubá e quella di Kush, presso la quale l’ariete aveva un ruolo simbolico fondamentale. Il suo numero sacro è il 6. COLORE: Marrone e bianco. AMALÁ: 7 candele marroni e 7 candele bianche, birra nera (come per Ogum e Oxóssi), gamberi e gombo (un tipo di salsa). CONSEGNA: nella cava o su una pietra grande e bella. ERBE: foglie di limone, Erba Mora, Erba Giglio, foglie di caffè, foglie di mango, Erba di Xangô.
• Xapanã, orixá dei dolori epidermici e delle piaghe.
• Iemanjá o Yemanjá, orixá femminile dei laghi, dei mari e della fertilità, madre di tutti gli Orishá di origine yorubana. A seconda della tradizione, viene indicata anche con i nomi di Imanja, Jemanja, Yemalla, Yemana, Yemanja, Yemaya, Yemayah, Yemoja, Ymoja e altri. È la regina del mare; si invoca per ottenere protezione, in particolar modo delle donne incinte, per la purificazione e per aiuto in generale, chiedendole di manifestarsi nel suo aspetto più materno. Un altro tratto di Yemaja, quello distruttore, è simboleggiato dal mare in tempesta. La tradizione narra che Yemaja sia nata dalla spuma del mare, come la Venere greca; la sua figura si può far corrispondere a quella della “Grande Madre” propria di numerose tradizioni. Ha insegnato l’amore a tutti gli orishá, è sposata con Babalú Ayé. Tra le caratteristiche che la contraddistinguono vi sono la passione per la caccia, l’astuzia, l’indomabilità, la collera, la severità, l’allegria. Le sono associati i colori bianco e blu e il giorno di sabato; nei sincretismi viene identificata con la Vergine della Regola o l’Immacolata. I suoi fedeli, prima di pronunciare il suo nome, devono toccare con i polpastrelli la polvere della terra. Dea madre e protettrice delle donne, specialmente di quelle in gravidanza, è patrona anche del fiume Ogun, le cui acque si dice che riescano a curare l’infertilità. I suoi genitori sono Oduduwá e Obatalá. Suo figlio Orungan la violentò una volta e ci riprovò una seconda; per impedire questa violenza, Yemajá esplose dal proprio ventre quindici orishá, inclusi Ogun, Olokun, Shopona e Shangô. Per gli umbandisti, Yemaja è la dea dell’Oceano e dea patrona dei sopravvissuti ai naufràgi. COLORE: Azzurro. AMALÁ: 7 candele bianche e 7 blu, champagne, manjar bianco e rose bianche (o un altro tipo di fiore bianco). CONSEGNA: in spiaggia. ERBE: Pata de Vaca, foglie di lacrime di Nostra Signora, Erba Quaresima, trifoglio e Chapéu de Couro.
• Yewá, orixá femminile del fiume Yewá, la vergine cacciatrice.

Nella tradizione afro-bahiana, cioè originariamente africana, vengono riconosciuti 16 orixas, così come disposti nella argolas dos orixas, cioè in circolo con alla sommità Oxalá. Seguono, in senso orario: Iemanjá, Logumedê, Obá, Oxum, Iansã, Xangô, Oxossi, Ogum, Exu, Nanã, Ibeji, Obaluaiê, Ossanha, Oxumaré ed Ewá (che si trova alla destra di Oxalá).
A ciascuno viene associato il suo colore, nell’ordine: bianco, rosa, azzurro-violetto, rosso, giallo, rosso-amaranto, rosso-bianco, azzurro, blu, nero-rosso, bianco striato di nero, multicolore, bianco-nero, bianco-verde, giallo-verde, rosso-giallo.
I cosiddetti “figli” degli orixas, cioè coloro che ne coltivano il culto, si salutano secondo il saluto rituale, nell’ordine: Epa babà, O doià, Loci loci, Oba xiré, Ora je je oh, E parrei, Kao Kabiesilé, O Kiarò, Ogunhé, Laroié, Saluba, Beje ro, Atoto, Eu eu, Arruboboi, Rinrò.
Ad alcuni è inoltre associato un elemento naturale:
• Sole – Oxalá
• Minerali – Ogum
• Fuoco – Xangô
• Terra – Obaluaê
• Vento – Iansã
• Pioggia – Nanã
• Vegetali – Oxóssi
• Acqa dolce – Oxum
• Acqua salata – Iemanjá

In Africa, l’orixá divinizzato ancestrale è un bene di famiglia trasmesso dal lignaggio paterno. I capi delle grandi famiglie, i balés, delegano la responsabilità del culto dell’orixá della famiglia a uno o una alaaxé, guardiano o custode del potere del dio, che se ne prende cura assistito dagli eleguns, posseduti dagli Orixás in determinate circostanze.
Il culto di ciascun Orixá era originariamente legato al popolo di una determinata città-stato o territorio: Xangô a Oyó, Iemanjá a Egba, Euá a Egbado, Ogum a Ekiti e Ondô, Oxum a Ijexá e Ijebu, Erinlé a Ilobu, da Logunedé a Ilexá, Oxalá a Ifé, suddiviso in Oxalufã in Ifan e Oxaguiã in Ejigbó, ecc. Quando sono emigrate, le famiglie hanno portato il loro culto ad altre comunità yorubá e i loro sacerdoti hanno assicurato il culto per l’intero gruppo.
Nel Nuovo Mondo, gli orixás e il loro culto hanno assunto un aspetto più personale. Quando lo Yorubá fu trasportato dai commercianti di schiavi in Brasile, il suo orixá ha preso un carattere individuale, legato alla fortuna personale dello schiavo e separato dal suo gruppo familiare.
La qualità delle relazioni tra un individuo e il suo orixá è quindi diversa in Africa e in Brasile.
In Africa, le cerimonie di adorazione sono assicurate da sacerdoti designati. Gli altri membri del gruppo sono obbligati soltanto a contribuire materialmente, a rispettare i divieti alimentari e di altro tipo legati all’unico orixá cultuato nel loro gruppo.
In Brasile, invece, ognuno deve personalmente assicurare le esigenze dell’orixá, ma ha la possibilità di trovare nel terreiro i mezzi necessari e un padre o una madre-di-santo in grado di guidarlo nei suoi obblighi. Ci sono molteplici orixás personali in ogni terreiro, cultuati non solo dai discendenti di Yorubás, ma anche da altri gruppi etnici, compresi bianchi e meticci. L’orixá ha assunto il carattere di antenato che si è di nuovo incarnato in uno dei suoi discendenti ed è diventato una guida che sceglie i suoi “figli” e “figlie” in base al loro temperamento e al loro biotipo, spesso secondo tendenze segrete e represse nell’archetipo degli Orixá. Si dice che ogni individuo abbia due orixás: uno più appariscente, che può provocare crisi di possessione, e un altro più discreto, “seduto”, fisso, calmo, ma che pure influenza il comportamento.
Secondo Verger, non esiste nel territorio yorubá un pantheon degli orixás ben gerarchizzato, unico e identico. Orixás che occupano una posizione dominante in alcuni luoghi sono totalmente assenti in altri. Per esempio, il culto di Xangô, che occupa il primo posto a Oyó, è ufficialmente inesistente a Ifé, ove un dio locale, Oramfé, occupa il suo posto con il potere del tuono. Oxum, il cui culto è molto sentito nella regione di Ijexá, non è conosciuta a Egbá, mentre all’opposto Iemanjá, sovrana in questa regione, è sconosciuta a Ijexá.
In Brasile c’è una maggiore sistematizzazione e un certo numero di orixás è riconosciuto da tutti i terreiros, anche se alcuni sono meno noti di altri e alcuni orixás importanti in Africa sono invece qui totalmente ignorati. Dall’ingresso della roda de santo nel capannone, tutti i ruoli religiosi sono vissuti intensamente, in una performance sincrona il cui ordine è regolato dallo xirê, ossia la sequenza rituale che organizza l’inizio delle canzoni e dei balli al suono del ritmo dedicato a ciascuno orixá, la cui trance è prevista in quel momento.
Non appena l’orixá vira (“si fa presente”), vengono immediatamente attivati altri ruoli: l’ekede, che deve accompagnarlo, vestirlo, asciugargli il sudore dal viso e danzare con lui; il padre-di-santo, che deve ricevere la riverenza dell’orixá; l’alabese, che deve sapere cosa e in che modo deve essere toccato per questo orixá, ecc.
Oltre a stabilire la sequenza delle canzoni, lo xirê rende manifesta la concezione cosmologica del gruppo, “ricucendo” le prestazioni dei personaggi religiosi in funzione dei ruoli e dei momenti appropriati alla loro rappresentazione.
Nella sequenza consueta del Candomblé kêtu, si suona, nell’ordine, in onore di: Exu, intermediario tra gli uomini e gli orixás, tra il mondo dell’aldilà e la terra, in modo che non disturbi il “lavoro” con il suo lato cattivo (egli può fare infatti del bene come del male e disturbare la benevolenza degli orixás che saranno invocati nel culto); Ogun, proprietario dei percorsi e dei metalli, senza le cui invenzioni del coltello e della zappa sarebbero impediti il sacrificio alle divinità (orixás) e il lavoro sulla terra; Oxossi, fratello di Ogun e legato anche alla sopravvivenza attraverso la caccia e la pesca; Obaluaiê, l’orixá della cura delle malattie o colui che le porta; Ossãe, proprietario delle foglie che guariscono (dunque legato a Obaluaiê) e senza le quali in Candomblé non si fa nulla; Oxumaré, connesso a Xangô, in quanto suo schiavo, e intermediario tra il cielo (nuvole) e la terra; Xangô, dio del tuono e del fuoco portato da Oxumarê; Oshun, moglie preferita Xangô; Logun-Ede, il figlio di Oshun e di Oxossi; Iansã, che nel mito ha creato Logun-Edê insieme a Ogun quando Oshun lo ha abbandonato; Obá, considerata in molte case come sorella di Iansã e la terza moglie di Shangô; Nanã, il più antico delle iabás (orixás femminili); Yemanjá, proprietaria delle teste e moglie di Oxalá; Oxalá, il signore dell’intera creazione.
Ci sono orixás che solitamente non sono incorporati, o lo sono molto di rado, ma sono regolarmente omaggiati nel Candomblé in altre maniere: Euá, sorella di Oxumaré e sposa di Obaluaiê, il cui complesso rituale fu dimenticato in Brasile; Olocum, madre di Iemanjá; Irocô, omaggiato in forma di un albero; Ibêji, protettore dei gemelli e dei bambini; Orunmilá, l’orixá della divinazione che si manifesta soltanto tramite l’oracolo dell’Ifá, un rito complesso che richiede un lungo addestramento e che in Brasile è stato quasi dimenticato e sostituito da metodi più semplici, intermediati da Oxum o Exu.
Gli Egun sono di uguale importanza rispetto agli orixás, ma sono considerati e venerati separatamente; accanto a loro, nei miti yorubá, appaiono gli spiriti degli antenati maschili e la manifestazione di Iku, la morte, e Iyami Oxorongá, la manifestazione collettiva delle antenate che prendono la forma di streghe capaci di trasformarsi in uccelli.

6.1.5 ESHÙ O EXU
Exù ha ovunque le stesse modalità di espressione e riveste sempre il ruolo di messaggero tra gli uomini e gli Orixà. È una specie di folletto e spesso è stato equiparato o sincretizzato con il diavolo cristiano. È un essere venale, geloso e permaloso, con un’altissima considerazione di se stesso.
Tutti i momenti iniziali di qualsiasi cerimonia, individuale o collettiva, pubblica o privata, gli sono dedicati perché possa trasmettere alle divinità i desideri, buoni o cattivi, dei membri della comunità e perché non interferisca negativamente con ciò che sta per essere celebrato.
L’omaggio obbligatorio a Exù, chiamato despacho o ébò, può assumere forme differenti, ma il luogo in cui viene depositato è il medesimo in tutto il Brasile, ossia presso gli incroci delle vie o delle strade, considerati dominio di questo messaggero.

6.1.6 IL CULTO E LA GERARCHIA
Le autorità spirituali sono il Pai (padre) de santo (anche detto BabalOrixá) o la Mãe (madre) de santo (anche detta IyalOrixá). Al di sopra di loro riconoscono solo la forza degli Orixá. Il terreiro, essendo una comunità a sé stante, ha come unica autorità spirituale e morale questo sacerdote o questa sacerdotessa. La IyalOrixá o il BabalOrixá — espressioni yoruba che si utilizzano nel Candomblé nagô — condividono la loro forza spirituale con le persone che compongono il terreiro, secondo una precisa gerarchia.
Hanno la funzione di iniziare e seguire il cammino dei loro adepti, istruendoli con nozioni relative al culto e dando consigli. Inoltre curano tutti gli aspetti relativi alla cerimonia sacra: presenziano ai sacrifici rituali, osservano e correggono l’esecuzione di qualsiasi rituale e, attraverso il jogo de búzios, dialogano con gli Orixá e aiutano risolvere i problemi di tutti gli adepti dispensando consigli suggeriti dalle divinità. Il pai o la mãe de santo sono obbligati a mostrarsi in pubblico ostentando i simboli della loro professione, cioè ornati di anelli e collane rituali oltre al classico vestito cerimoniale.
A fianco di queste due figure prestigiose, ci sono il Babaegbé o la Iyaegbé, ossia il padre piccolo (pai pequeno) o la madre piccola (mãe pequena), autorità che si trovano immediatamente sotto quella principale e responsabili dell’ordine, della tradizione e della gerarchia.
Altra figura di rilievo è la Yabassé, la responsabile degli alimenti sacri, un incarico prettamente femminile; possono aiutarla tutti i filhos e le filhas-de-santo, ma lei resta comunque l’unica responsabile degli eventuali errori commessi.
L’Axogun è il responsabile dei sacrifici; lavora insieme alla mãe o al pai de santo. Non può sbagliare. È il responsabile diretto dei sacrifici dall’inizio dell’atto sino alla fine. È chiamato anche mão de faca, ovvero “mano di coltello”.
Alla base di questa gerarchia ci sono le filhas e i filhos de santo, che tuttavia si trovano all’ultimo gradino della gerarchia soltanto in teoria: nella pratica sono infatti loro a far vivere il terreiro, sostenendone l’economia e la religione.
Nel Candomblé serve l’iniziazione per poter far parte dei quadri sacerdotali. La persona novizia rimane reclusa nel terreiro circa 21 giorni. Nel periodo precedente raccoglie il denaro per le offerte e per i vestiti e magari anche per la propria famiglia, al cui sostentamento di solito contribuisce e con cui non potrà essere in contatto nel tempo necessario al rito di iniziazione. Si tratta infatti di una religione che prevede una cospicua spesa materiale.

6.1.7 LA POSSESSIONE
Il privilegio di servire agli Orixás come “cavallo” (ossia esserne posseduti) è riservato a pochi eletti, specialmente a quelli di sesso femminile. La possessione da parte della divinità, che rappresenta la caratteristica principale dei culti di origine africana, non si esercita su una persona qualsiasi, ma su alcuni soltanto. Il carattere personale della divinità è un’ulteriore caratteristica: nel Candomblé ogni persona (figlio o figlia di santo) è preparata per accogliere esclusivamente la sua divinità protettrice e nessun’altra.

6.1.8 LA DIVINAZIONE CON IL JOGO DE BÚZIOS
Jogo de Búzios si traduce in italiano con “lancio delle conchiglie”. Si tratta di una pratica divinatoria che mette in contatto le persone con gli orixás, grazie alle capacità medianiche e alla forza spirituale del sacerdote o della sacerdotessa.
Il pai o la mãe de santo, durante le sedute di divinazione, utilizzano come mezzo di comunicazione da dodici a ventuno conchiglie della specie “Cypraea moneta”, che il divinatore lascia cadere sopra un cestino o altro contenitore di forma tonda (che rappresenta il mondo) contornato da numerose collane e oggetti vari, come monete e pietre.
La consultazione viene effettuata davanti ad un bicchiere d’acqua e ad una candela accesa: il primo rappresenta l’elemento naturale, fonte di vita e catalizzatore delle energie negative che inconsapevolmente il consultante porta sempre con sé; la candela simboleggia l’unione indispensabile dei quattro elementi naturali: acqua, terra, fuoco e aria.
L’oracolo può essere una fonte di guadagno per il sacerdote o la sacerdotessa ed è indispensabile per i praticanti della religione: solo attraverso questa consultazione, infatti, il mondo terreno (AYÊ) può mettersi in contatto diretto — mediante un vero e proprio dialogo fatto di domande e risposte — con il mondo spirituale (ORUN), riuscendo così a stabilire quali offerte siano richieste dagli stessi Orixá per la risoluzione di problematiche di natura sia materiale che spirituale.

6.1.9 IL CONGÁ (O GONGÁ)
La parola Congá appartiene alla lingua Banto ed è utilizzata per indicare un luogo con funzioni analoghe all’altare latino: il termine accoglie in sé sia il concetto di posto elevato (“alto”) che quello di tavolo come luogo dove si prende il nutrimento (le energie positive che emanano di lui). Nel Congá vengono stabiliti diversi punti energetici, di cui il principale è l’altare. Oltre all’altare, il Congá dispone di un’area circostante che lo integra (analoga al “presbiterio” del culto cattolico).
Vari popoli di diverse culture, attraverso la loro gerarchia spirituale (sacerdoti, sciamani, pajés e altri), in qualche modo hanno identificato i luoghi in cui hanno stabilito energeticamente le relazioni con le loro divinità e dedicato ad esse il culto, considerandoli come un “ponte” tra gli umani e il sacro, già in epoca precedente alla costruzione dei templi sacri.
Il Congá è il punto principale di axé del terreiro: un luogo consacrato, dove le energie sono permanentemente rinnovate attraverso preghiere e altri oggetti magnetizzati che sono lì disposti, come candele, fiori, bicchieri con acqua, punti tracciati, pietre e immagini, tra cui anche quelle di santi cattolici, a causa del sincretismo religioso, nonché raffigurazioni dei caboclos (indigeni brasiliani considerati “illuminati” e possessori di una conoscenza spirituale e guaritrice) e dei pretos velhos (“neri anziani” che incarnano la sapienza) tra le entità dell’Umbanda.
Come l’intero Congá sono magnetizzati anche tutti gli elementi simbolici lì presenti, parte integrante del luogo sacro all’interno della casa di Candomblé e di Umbanda. È nel Congá che l’altare unisce altri punti energetici spirituali per irradiare energia su tutto il pavimento, dove i piedi nudi assorbono tutto il fluido energetico.
Il Candomblé e l’Umbanda attribuiscono molta importanza ai “fluidi energetici”, talora ritenuti molto “pesanti” o “profondi”. Il Congá è il più potente condensatore delle forze del tempio: è attraente, scaricatore, espansore, trasformatore, alimentatore di ogni tipo di energia e magnetismo. La forza che emana dal Congá, nucleo centrale di tutti i trabalhos (lavori), si rinnova costantemente.

6.1.9.1 CARATTERISTICHE DEL CONGÁ
Attrattivo: attrae i pensieri che lo circondano in un ampio magnetismo di ricezione delle onde emesse. Più le immagini e gli elementi sull’altare sono in armonia con gli orixàs del tempio più intensa è questa attrazione. Un Congá con troppi oggetti disperde e rompe le energie e le forze emesse dalle divinità.
Condensatore: condensa le onde mentali che si “accumulano” attorno a lui e che derivano dall’emanazione psichica dei presenti a conferenze, adorazioni, consultazioni; assorbe i pensieri di coloro che fanno le domande e dei médium (sensitivi).
Scaricatore: se colui che vuole fare domande alle entità ha pensieri negativi, questi vengono scaricati nella terra quando arrivano di fronte al Congá, passando in un flusso attraverso il Congá stesso come se fosse un parafulmine. Il Congá assorbe dunque le energie negative delle persone e le scarica sulla terra.
Espansore: espande le onde mentali positive dei presenti; associate ai pensieri delle guide che li potenziano, vengono restituite a tutti coloro che sono presenti in un processo di flusso e riflusso costante.
Trasformatore: funziona come un vero impianto di riciclaggio di spazzatura astrale, restituendolo alla terra.
Alimentatore: è il sostentamento vibratorio di tutti i lavori medianici, poiché con lui sono fissati nel piano astrale i mentori, i maestri e le guide delle opere che si realizzano in quell’occasione rituale ma che non sono stati incorporate dai médium (sensitivi).

Il Congá è dunque una vera e propria concentrazione energetica. Tutti concentrano lì i loro pensieri, le loro preghiere, le loro creazioni mentali più sottili. Quando si necessita di una quota di energia più alta per sviluppare certe attività, basta solo ricorrere a questo “deposito” di energie, che vale anche come un immenso serbatoio di ectoplasma, una riserva di forza molto usata dai “lavoratori” per le loro attività.
Pertanto è necessario prendersi molta cura del Congá di una Casa. L’armonia di una riunione è direttamente correlata al mantenimento della buona pratica di energizzare tutti i simboli lì presenti, in modo che lo scambio compiuto sia intenso e benefico per tutti i partecipanti alla catena medianica.

6.1.10 LA MUSICA NEL CULTO
La musica è molto importante in un terreiro. Gli Ogãs (i “maestri”) cantano e suonano i Pontos (“punti”) che alimenteranno l’energia vibratoria della gira, termine che indica l’insieme degli atti di culto tributati a un’entità. Ogni atto di culto prevede un ponto, ossia una canzone rituale, e tutti gli strumenti sono considerati sacri in quanto consacrati mediante un rito agli Orixás.
Più che la melodia in sé, generalmente pentatonica, della musica colpisce il ritmo sempre vivace in compasso binario, marcato da strumenti di percussione. La musica è vocale e si tramanda oralmente. La letteratura incorporata nella musica vocale ha l’obiettivo di trasformare le persone in comunità sociali, cioè di creare legami e plasmare una struttura sociale. La musica collabora non soltanto a formare un’identità di gruppo, ma anche a “sciogliere” l’individuo nella massa, e non come sfida alla cultura del singolo, ma in armonia dinamica con essa. Le musiche e le danze possono essere pienamente comprese soltanto da un membro della tribù, ma anche tutti gli altri possono essere in grado di cogliere il contenuto testuale, lo stile e la funzione delle melodie e delle danze. Essendo i canti in forma responsoriale — formulario di solo e forma di coro — favoriscono la trasformazione sociale, stimolando adesione al gruppo tramite il ritmo e la melodia.
Gli strumenti musicali sono tutti a percussione. I più grandi sono i Jingomas (plurale di Ngoma), tamburi cilindrici di legno e pelle di animale, in genere di rettili, che a loro volta possono prevedere tre dimensioni diverse: Ngôma tixinda, il tamburo grande (Rum); Ngôma mukundu, il medio (Rupim); Ngôma kasumbi, il piccolo (Lé). Sono chiamati anche rispettivamente Ngómba, Ngónje e Gongê; o anche Dimi Kikóngo (in lingua kikóngo). Il loro nome generico in lingua portoghese è Atabaque.
Gli Atabaques possono essere suonati soltanto dall’Alagbê (nazione Ketu) o dallo Xicaramgoma (nazioni Angola e Congo) o dal Runtó (nazione Jeje): si tratta del responsabile del Rum e degli Ogãs.
È l’Alagbê che inizia a suonare mediante il toque (“tocco”) e, a seconda del ritmo da lui impresso nel Rum, l’orixá farà la sua danza. Il Rum comanda il Rupim e il Lê. A volte per suonare gli Atabaques vengono usate bacchette dette Aguidavis.
Altri strumenti sono gli Agogô (detti anche Ganzà, Gan o Gam), coppette di metallo unite a un bastone e suonate con un bastoncino di metallo (il Maracà), e i Kashishi, sonagli fatti con delle zucche secche contenenti semi o ghiaia. Il Maracà è di origine indigena tupi e il Kashishi (semplice o doppio) è di origine angolana (banto). Alcuni usano lo Xequerê, uno strumento fatto con una zucca secca e piccoli grani o conchiglie che la avvolgono a forma di rete.
I nomi dei toques — ossia dei diversi modi di suonare gli Atabaques — degli orixás della nazione Ketu sono:
Adabi, che significa “battere per nascere”: ritmo sincopato dedicato a Exu.
Adarrum: ritmo invocatorio di tutti gli orixás; svelto, forte e continuo, marcato dall’Agogô, può essere accompagnato dal canto soprattutto in onore di Ogum.
Aguere, che in yorubá significa “lentezza”: ritmo cadenzato in onore di Oxóssi, e con cadenza più svelta in onore di Iansã (in tal caso viene chiamato quebra-pratos, ossia “rompi-piatti”).
Alujá, che significa “orifizio” o “perforazione”: ritmo svelto con caratteristiche guerriere, dedicato a Xangô.
Bravum: ritmo caratterizzato da colpi forti, dedicato a Oxumaré.
Huntó o Runtó: ritmo di origine fon, dedicato a Oxumaré; può essere eseguito con canti in onore di Obaluaiê e Oxalufã.
Igbin, che significa “chiocciola”: ritmo di esecuzione lenta con colpi forti, che intende simboleggiare il viaggio di un anziano e dedicato a Oxalufã.
Ijesa o Ijexá: ritmo cadenzato suonato soltanto con le mani; dedicato a Oxum quando è soltanto strumentale.
Ilu: termine yorubá che significa tamburo.
Batá, che significa “tamburo”: ritmo riservato al culto di Egun e Xangô, cadenzato e suonato con le mani specialmente per Xangô.
Korin-Ewe, che significa “canzone delle foglie”: ritmo originario di Irawo (città della Nigeria) dove si rende culto a Ossain.
Oguele: ritmo destinato a Obá ed eseguito con canzoni in onore di Ewá.
Opanije, che significa “colui che uccide e mangia”: dedicato a Obaluaiê, Onile e Xapanã, è un ritmo lento, caratterizzato da colpi forti di Rum.
Sató, che significa “manifestazione di cosa sacra”: ricorda il ritmo Batá, ma è un po’ più svelto e è caratterizzato dai colpi del Rum.
Tonibobé, che significa “chiedere e adorare con giustizia”: è suonato per Xangô.

Nei culti afrobrasiliani, uno dei canti più importanti è il Ponto cantado (“punto cantato”), detto anche curimba, cioè una canzone di lode agli orixás o alle linhas, gruppi di entità detti anche “falangi”. Questi Pontos sono come dei mantra che evocano energie, servono a far baixar (“scendere”) le entità, o a congedarsi da esse, o per altre finalità .
Quando i fedeli cantano i punti di Candomblé o di Umbanda, stanno allo stesso tempo pregando e invocando gli orixás o le falangi, chiedendo loro di fare una visita.
I pontos devono essere cantati con la loro cadenza, in armonia e senza esagerazione: l’armonia è essenziale per dare la luce necessaria ed equilibrare l’energia alle guide e ai protettori spirituali, e anche affinché il lavoro svolto nel terreiro (cortile) abbia successo.
Sono cantati soprattutto per entrare in sintonia con le forze astrali, quindi non è raccomandato che vengano cantati senza il giusto intento, che è quello di invocazione. Quando un ponto è mal tirado, cioè “mal cantato”, vale a dire impropriamente e fuori dall’ambiente religioso, il canto non raggiungerà l’effetto desiderato, anzi disturberà l’avvicinamento delle entità e l’energia dell’ambiente. I pontos sono cantati per cercare le forze spirituali delle entità e per agire direttamente sulle opere che vengono eseguite, quindi non devono essere cantati invano.
Per cantare le melodie dei pontos, nei terreiros si formano i Curimbas, gruppi di cantanti e musicisti: la loro funzione è quella di guidare le canzoni con armonia e saggezza: inoltre preparano l’ambiente rendendolo favorevole e armonizzato con la dimensione spirituale. La formazione del Curimba può variare a seconda del terreiro, ma di solito consiste in Ogãs Curimbeiros (quelli che cantano solamente), Ogãs Atabaqueiros (quelli che suonano solamente percussioni) e Ogãs Curimbeiros e Atabaqueiros (che cantano e suonano le percussioni allo stesso tempo). Tutti i componenti del Curimba devono essere consapevoli della loro importanza all’interno del terreiro, dal momento che i punti sono le guide del lavoro svolto all’interno del terreiro.
Vi sono inoltre i Pontos riscados (punti tracciati), detti anche zimba: si tratta di disegni fatti per terra, col gesso (pemba) se sul pavimento oppure con la punta di un ferro se sul suolo nudo, che servono a invocare o a identificare l’entità che si presenta incorporata nel suo medium. Hanno potenza e funzione magica e possono avere diversi significati. Sono simboli — al pari di candele, pietre, acqua e altri elementi — e dal loro nome deriva quello di magia riscada (tracciata). Sono considerati comandi magici e accumulatori di energia di cui si servono le entità.
Ogni entità possiede un ponto (“canto rituale”) d’identificazione e tanti altri pontos per le sue magie. Il primo può essere mostrato senza restrizioni: spesso viene infatti rappresentato nei libri e dipinto sulle facciate dei centri, principalmente in Umbanda, identificati con un Orixá o “santo” de cabeça (“di testa”) di colui che è il sacerdote principale di quel centro di culto. Questi canti si identificano con il nome di Ponto aberto (“punto aperto”). Gli altri pontos sono invece segreti o “chiusi”, e conosciuti soltanto dall’entità.

6.1.11 LA COLLANA GUIA (GUIDA): LE COLLANE RITUALISTICHE
L’uso di ornamenti come collane guida, talismani e braccialetti è così antico che non è possibile indicare una data certa in cui è iniziata questa pratica. Si può osservare, però, che il loro uso ha sempre avuto un significato molto diverso a seconda delle varie culture.
Per alcune tribù, questi ornamenti protettivi servivano a salvare dagli attacchi di animali, dalle influenze negative di altri mondi e dai nemici delle tribù rivali.
Le prime collane non erano realizzate con perle colorate e lucidate come le guia (guide) di oggi, ma spesso erano costituite da criniere e unghie di animali, capelli umani, pezzi di ossa. Ancora oggi, alcune guide sono fatte con denti di animale, mentre non si usa più farle con capelli umani.
L’uso di guide — specialmente in chi ne usa molte — attira l’attenzione. È comune associare questi oggetti a macumbaria, termine dispregiativo con cui ci si riferisce alle sette afro-brasiliane.
Nel libro Formulário de Consagrações Umbandistas (“Formulario delle Consecrazioni Umbandist”e), Rubens Saraceni sottolinea che non vi è nulla di insolito, inusuale o feticistico nei médium che usano le guide per protezione spirituale.
Gli individui appartenenti alle tribù e alle religioni odierne, in particolare gli umbandisti, utilizzano le guide e altri elementi per proteggersi dalle influenze esterne.
Le credenze a proposito di questi oggetti sono tuttavia assai variabili. L’Umbanda, così come il Candomblé, ha infatti i suoi riti consacratori religiosi che ammettono però l’uso e il ricorso ai riti di altre credenze o religioni.

6.1.11.1 COLLANE GUIDA – POTERE MAGICO
Le guide sono intrise di credenze magiche. Alcuni appartenenti ad Umbanda si appoggiano ai fondamenti del Candomblé o ad altri, ignorando la dottrina genuinamente umbandista. Se qualcuno che indossa belle collane, dei più svariati colori e forme, viene interrogato sul loro significato, la risposta è spesso vaga o addirittura la persona non sa affatto rispondere perché ignora il significato di tali oggetti.

6.1.11.2 COME SONO?
Le guide sono generalmente realizzate con perline di vetro, stoviglie, cristalli, perline di rosario, semi quali ad esempio occhio di toro e occhio di capra, conchiglie, ciondoli in acciaio e così via. Per unire tra loro tutti gli elementi, alcuni usano nylon e altri cordoncino: la scelta dipende dalla persona che realizza l’oggetto o dall’orientamento della guida (entità) o del sacerdote.

6.1.11.3 A QUALE SCOPO SERVONO?
Sono dei condensatori di energia, ossia assorbono gli accumuli negativi dei campi elettromagnetici, proteggendo i médium dalle cattive influenze durante il trabalho (lavoro).
Sono magnetizzate dalle guide principali o dai dirigenti della casa, attraverso le energie della natura, per servire da scudi contro le energie negative che possono avvicinarsi ai servitori di Candomblé o di Umbanda nella pratica della carità. Se in qualche momento si avvicina qualche carica negativa, essa si scontra con la guida che funziona come scudo di protezione per il médium: essa assimila le cariche negative e non consente loro di raggiungere il médium incorporato.
Può anche essere utilizzata quotidianamente come parafulmine per le energie pesanti, al cui contatto quotidiano nessuno è immune (a meno che non si trovi da solo in luogo isolato di montagna).
Le guide, oltre ad essere protettive, hanno anche altre funzioni, come la connessione psichica tra médium e spirito e l’aiuto nei trattamenti spirituali.

6.1.11.4 PRODUZIONE DELLE GUIAS
Nell’Umbanda le guide vengono prodotte dopo la richiesta di qualche entità o del sacerdote, che daranno le corrette indicazioni circa le loro caratteristiche e finalità: per esempio, contro quali influenze devono agire o quali propiziare.
Può anche accadere che sia il singolo individuo a intuire o ad avvertire la necessità di costruire una guida ad uso personale: è lecito farlo, ma sempre cercando di orientarla in modo corretto.
Le guide di protezione devono essere realizzate con prodotti naturali, considerati eccellenti conduttori di energia. A seconda di ogni casa e delle sue regole, possono essere fatte di semi, legno (come il bambù), pietre, porcellana, conchiglie, cristalli. Non si devono usare materiale plastico o simile, poiché non costituisce un filtro adatto.
Saranno fatte secondo le regole della casa spirituale o su richiesta di una specifica entità. Anche in quest’ultimo caso, la guida può essere prodotta solo se autorizzata dai dirigenti o dall’entità capo della casa.
Ci sono case che sono specializzate nella produzione di guide, conformandosi alle regole esposte qui sopra, e che le vendono già pronte. Poiché le guide sono collane magnetiche, devono essere benedette dal capo o dai dirigenti, in modo che possano avere lo stesso tono vibratorio di quelle che utilizzano tutti gli altri médium sulla stessa ruota. Tutto il materiale usato dai médium deve avere la stessa “vibrazione energetica”, ossia la stessa armonia vibratoria: la corrente spirituale viene così rafforzata.
Tutte le guide, per avere un valore vibratorio, devono essere magnetizzate e fondamentate (ossia consacrate). Il numero di perline verrà comunicato dal dirigente dopo l’autorizzazione del capo.
Le firmas (fermagli) utilizzate per chiudere le guide servono come spazio magico per ricevere e distribuire continuamente le energie e quindi formare un campo magnetico chiuso lungo la catena di perle, facendo passare l’energia in una perla dopo l’altra.

Tra i vari tipi di guida si segnalano:
• guida di protezione: tutte le collane di perline sono fatte per la protezione. Quando un médium nuovo inizia ad indossare il bianco e partecipa a una ruota di sviluppo, gli viene chiesto di indossare la prima guida della casa. Questa di solito è quella di Oxalá, considerato da tutti gli umbandisti come il Grande Padre, colui che detiene in suo potere la forza di tutte le energie della natura.
• guida di orixá (forza della natura): è la guida che è collegata alla gamma vibratoria del médium. Rappresenta l’energia della natura con cui il médium è direttamente sintonizzato; questa vibrazione avrà una forza speciale sulla sua corona.
• guida delle entità: è quella che segue come regola la richiesta di un’energia superiore, di un’entità di luce. Può essere fatta solo con l’autorizzazione della casa e/o dei dirigenti.

Bisogna fare attenzione a costruire le guide esattamente come ordinato poiché saranno utilizzate per rafforzare i médium e la sicurezza nelle ruote a cui parteciperanno. Non possono essere usate solo come ornamenti o guarnizioni.
Il modo in cui la guida è richiesta dall’entità può suggerire molte indicazioni circa il lavoro richiesto. Proprio come il punto tracciato, che è una “materializzazione” dell’energia dell’entità e perciò la descrive, anche le guide possono indicare molti fondamenti della fede di chi la usa e parlare da sole a chi ne conosce il linguaggio simbolico.

6.1.11.5 COLORI DELLE GUIAS
A seconda dell’Orixá, le guias possono avere colori differenti:
Bianca – Oxalá
Nera e Bianca – Almas
Rossa – Ogum
Verde – Oxóssi
Cristallo Trasparente – Iemanjá
Gialla – Iansã
Azzurro Chiaro/Turquese – Oxum
Lilà – Nanã
Nera e rossa – Guardiani
Azzurra e Rosa – Ibeji
Marrone – Xangô

6.1.11.6 GUIAS PARTICOLARI

GUIDA DI ACCIAIO – è una guida di protezione, un isolante che respinge dal médium le cariche negative sia nel suo cammino spirituale che nella sua vita terrena. È l’unica guida ad essere utilizzata dai médium nella loro vita quotidiana come amuleto di protezione o patuá. Le guide d’acciaio per i culti afro-brasiliani vendute in commercio hanno in genere i cosiddetti “strumenti” degli Orixas appesi lungo l’intera lunghezza della guida: sono cioè rappresentazioni degli orixás, dal momento che questi recano in sé parte dell’onda vibratoria sacra emanata dalla forza degli elementi della natura.
La guida d’acciaio deve contenere i seguenti “strumenti” anch’essi di acciaio: una croce, un cuore, una spada, una freccia, un’accetta, una chiave, una stella a cinque punte.
Non è un problema se la guida d’acciaio viene toccata da un estraneo. Va tolta durante le relazioni intime; mentre si dorme può essere posizionata sotto il cuscino; quando ci si lava non è necessario toglierla.
BRAJÁ – guida prodotta con fili e búzios (conchiglie), usata dai sacerdoti e in modo facoltativo da coloro che sono in fase di iniziazione al sacerdozio. Essendo nell’Umbanda simbolo di conoscenza, quando il médium arriva alla maturità spirituale gli è concesso il diritto di fregiarsi del Brajá, a simboleggiare il suo ingresso nel mondo della conoscenza. Il suo uso non è fondamentale, non è originario di Umbanda ma è stato incorporato dal Candomblé.
EBOMI – guida fatta con i semi dell’albero del dendê. È consegnata al médium al termine dei sette anni di preparazione, quando egli diventa sacerdote.

Le guide servono da collegamento tra le forze della natura e il campo energetico del médium e come filtro delle energie tra l’ambiente e il médium. Rafforzano l’intensità della connessione tra il médium e il suo mondo spirituale, “migliorando” la comunicazione, l’intuizione e la trasmissione energetica.
Qui sotto alcune curiosità a proposito delle guide:
• utilizzo delle cosiddette Guias atravessadas: esse normalmente vengono chieste dal medium o dalla guida-capo della casa quando c’è bisogno di una linea vibratoria diversa dalla linea quotidiana del medium. Ciò accade, ad esempio, se il medium ha un’energia femminile nella sua corona e la sua entità ha invece un’energia maschile: la guida è usata trasversalmente allo scopo di ottenere l’equilibrio vibratorio. Supponiamo infatti che il medium possieda una corona fortemente energizzata dalla vibrazione di Oxum (energia associata alla femminilità) e che le sue entità utilizzino energia fortemente concentrata in Omulu o Ogum (che sono vibrazioni mascoline): la guida è dunque atravessada, cioè “usata di traverso”, vale a dire indossata non al collo, ma a spalla, in modo tale che essa attraversi il petto e la schiena di chi la indossa. Lo stesso vale quando, ad esempio, nella corona del medium è molto forte l’energia dei boschi, incarnata da Oxóssi, mentre l’entità è concentrata sulle energie femminili di Oxum. Al contrario, la differenza tra il genere sessuale del medium e quello dell’entità non richiede di essere equilibrata attraverso il meccanismo qui descritto.
• quando osserviamo un medium che, nel suo lavoro, usa una guida avvolta sul polso, sta semplicemente usando la guida come conduttore energetico più forte per liberare il campo astrale dell’entità consultata.
• quando si va in bagno, le guide dovrebbero essere tolte: in segno di rispetto e poiché il bagno è un ambiente in contrasto con lo stato di purezza in cui le guide devono essere mantenute. Le impurità, solide e fluide, possono infatti influenzare la linea vibratoria attaccandosi al filtro di protezione.
• quando ci si trova vicino al fornello o alla stufa, le guide vanno custodite, ad esempio posizionandole all’interno degli indumenti, così da tenerle più vicine al cuore, per proteggerle dal fuoco: essendo fatte nella maggior parte dei casi con nylon, tendono infatti a sciogliersi; le guide inoltre, in quanto filtri energetici, devono essere preservate da qualunque tipo di energia estraneo al lavoro che devono compiere.
• le guide sono personali e non trasferibili e devono essere fatte, manipolate e utilizzate solo dal medium. Ogni individuo e ogni ambiente hanno un campo magnetico e un tono vibratorio specifico. Soltanto la preparazione delle guide, in particolare la loro chiusura, può essere fatta da qualcun altro, purché qualificato per una funzione così importante. Il medium dovrà essere scelto dal dirigente della casa o guida-capo.

6.1.11.7 ATTENZIONI E CURE DA PRESTARE ALLE GUIAS
Le guide devono essere scaricate, cioè purificate dalle energie negative accumulate durante il lavoro. Tale compito spetta al médium e la periodicità di questo rito è definita dall’entità associata alla guida.
Devono essere collocate in una bacinella d’acqua e coperte con erbe specifiche. Normalmente, si usa il boldo (erba di Oxalá) nel cosiddetto “tappeto di Oxalá”. Questa pulizia può essere fatta anche in mare aperto, nelle cascate o lasciando la guida Stesa sull’altare per la magnetizzazione.
Nel Manual Doutrinário, Ritualístico e Comportamental Umbandista, Rubens Saraceni fornisce alcune linee guida per l’utilizzo della guia:
• deve essere conservata con rispetto e cura;
• deve essere fatta passare attraverso il fumo all’inizio del lavoro;
• deve essere usata da medium più esperti e ben preparati o quando richiesto dalle entità.

6.1.12 LA CUCINA RITUALISTICA
Nota anche come “cucina di santo”, rappresenta la parte gastronomica del culto, perché ogni Orixá ha delle pietanze preferite, che devono essere preparate con regole molto precise tramandate dalla tradizione e con precisi ingredienti. Ecco perché tanti terreiros hanno un reparto cucina alle loro dipendenze, con personale appositamente adibito a questa mansione.
La persona responsabile della cucina viene chamata labassê: conosce le preferenze degli Orixás e i segreti della preparazione dei piatti, tutti di sapori ben decisi.
Anche il modo di impiattare segue delle regole precise perché si crede che la maggioranza degli Orixás furono re o regine e perciò abituati ai cerimoniali di corte.
Ci sono anche proibizioni riguardanti condimenti o prodotti chiamati quizila o quijila: si tratta di sapori sgradevoli al palato (cibi o spezie) o che evocano fatti leggendari (detti itãs) non favorevoli a un determinato Orixá. Per esempio, Oxalá non gradisce né accetta sale o bevande alcoliche nelle sue offerte; Ibeji ama tutto ciò che è dolce; a Omulu (detto anche Abaluaiê) piace l’olio di dendê, ma non il sale; Nanã non accetta che i suoi alimenti siano tagliati col coltello; a Xu piacciono la carne rossa con molto olio di dendê, aglio, cipolla viola e farofa gialla (pietanza fatta con farina di mais o manioca). Da questo si capisce l’importanza di conoscere bene tutte le regole affinché una oferenda (offerta) sia gradita a un Orixá e lo invogli a propiziare chi gli sta rendendo culto. Siccome gli Orixás sono molto permalosi e talora anche rancorosi, per un credente cadere in loro disgrazia è una sfortuna temuta più dell’inferno.
Gli schiavi hanno trovato in Brasile gli stessi prodotti che conoscevano in Africa e così hanno potuto continuare la loro cucina tradizionale, influenzando anche la nascente cucina brasiliana. Quest’ultima ha prima assimilato le pietanze degli indios e dei portoghesi e poi quelle portate dagli immigrati europei (di Italia, Spagna, Francia, Germania, Olanda, Repubblica Ceca, Ucraina) e provenienti dall’estremo e medio Oriente (Libano, Siria, Armenia, Israele, Giappone, Cina, Corea).
In determinate occasioni festive ci sono dei banchetti rituali chiamati xirê, che si possono considerare una danza-celebrazione-offerta per mettersi in contatto col divino. Si evocano le divinità per accedere a campi di esperienza e di conoscenza che inducano vibrazioni positive: ciò può accadere non solo qualora il credente abbia bisogno, nel suo processo di autoconoscenza, di connessione con i piani astrali superiori e di guarigione, ma anche per illuminare la realtà e influenzare la quotidianità, per liberare canali di energie e produrre nuove qualità nei credenti.

6.2 QUIMBANDA O KIMBANDA
Prima che la Quimbanda diventasse una religione separata, era inclusa nella tradizione religiosa Macumba.
Tutte le religioni ritenute “bianche” dalla classe dirigente, fino alla fine del diciannovesimo secolo o a metà del ventesimo, hanno considerato la Macumba in termini sempre negativi, quale magia nera primitiva, demoniaca e superstiziosa. Tuttavia, mentre la cultura africana continuava a fondersi con la cultura nativa brasiliana, la Macumba si divise in due religioni: l’Umbanda e la Quimbanda.
L’Umbanda rappresentava gli aspetti “purificati” della Macumba, attingendo fortemente ai valori spirituali e gerarchici dello spiritismo e del cattolicesimo francese. D’altra parte, la Quimbanda rappresentava gli aspetti di Macumba che sono stati rifiutati nel processo di purificazione, diventando la Macumba per eccellenza.
La divisione tra la magia nera e bianca della Macumba ha causato molti dibattiti sull’unità o sulla disunità di Umbanda e Quimbanda. Alcuni credono che l’Umbanda e la Quimbanda e rappresentino aspetti o tendenze di un singolo sistema. Altri credono invece che Umbanda e Quimbanda siano diventate religioni autonome con le loro influenze.
La caratteristica fondamentale della Macumba è la magia, spesso magia nera o fattuccheria, che si serve del contatto con gli spiriti inferiori. Prevede il sacrificio di animali. In molte occasioni i trabalhos (“lavori”) hanno il fine di provocare qualche male o di liberare da esso.
Alcuni autori segnalano la difficoltà di distinguere tra culto Umbanda e Quimbanda, poiché spesso si realizzano negli stessi locali, ma in giorni diversi.
La Quimbanda avrebbe un carattere più negativo e tenebroso, poiché cerca di provocare il male, di compiacere gli Exus, con frequente spargimento di sangue (sacrifici di animali) e con l’uso dei colori rosso e nero (al contrario del bianco dell’Umbanda e del Candomblé).
È significativo che la frase più comune in questo culto sincretista sia “Dio è buono, però il diavolo non è cattivo”: è dunque evidente il culto dei demoni.
Gli Exus, comunemente chiamati “spiriti della sinistra”, non sono puramente malvagi, ma anzi umani nelle loro qualità, e condividono le debolezze umane. Gli spiriti Exus si occupano principalmente di questioni umane e materiali, al contrario degli “spiriti di destra” dell’Umbanda, che si occupano principalmente di questioni spirituali. Gli Exus sono generalmente chiamati ai rituali per organizzare l’incontro, rafforzare la giustizia o mantenere l’equilibrio della vita.

Differenze tra Quimbanda e Umbanda

Tratti Quimbanda Umbanda
Divinità Ogum, Exus, Pombas Giras Ogum, Oxalá, Iemanjá, Xangô, Oxóssi, Oxum, Iansã, Omolu / Obaluayê, Erê, Exu, Pomba Gira, Pretos-velhos, Caboclos (nativi)
Rituali Questioni umane / materiali e spirituali Questioni spirituali
Credenze Progressione spirituale in potere e abilità Gerarchia spirituale cristiana
Influenze Cultura brasiliana nativa, religione Yorubá, spiritualità Congo, stregoneria europea Cultura brasiliana nativa, Cattolicesimo, Spiritismo francese, religione Bantu, religione Yorubá

6.2.1 L’ORIGINE DELLA QUIMBANDA
La Quimbanda ebbe origine in Sud America e si sviluppò sotto l’impero portoghese grazie al fenomeno del commercio di schiavi, che contribuì a esportare la cultura africana nelle Americhe. In Brasile, a metà del secolo XIX, la popolazione di schiavi superò la popolazione libera e aumentò quando uomini di discendenza africana (liberti) furono aggiunti alla popolazione schiava.
La cultura africana portata dagli schiavi in Brasile si mescolò lentamente con la cultura indigena americana ed europea. Nei grandi centri urbani come Salvador o Rio de Janeiro, dove la popolazione schiava africana era più concentrata, il regime coloniale impose un sistema di controllo sociale per sopprimere la popolazione in crescita. Tuttavia, così facendo si ottenne l’effetto opposto, in quanto il sistema coloniale divideva la popolazione di schiavi in “nazioni”, che dunque conservavano, proteggevano e persino istituzionalizzavano le tradizioni religiose e secolari africane. Le grandi città in cui la popolazione di schiavi era maggiormente concentrata preservarono così la Macumba, culto precursore della Quimbanda, e accolgono ancora oggi il maggior numero di seguaci della Quimbanda.
La Chiesa cattolica ha avuto un effetto molto debole sulla Quimbanda, a differenza di quanto accaduto nel caso di altre religioni afro-brasiliane come l’Umbanda. La Chiesa cattolica in Brasile era sotto il diretto controllo della corona portoghese (regime di padroado o “patronage”) e quindi si affidava allo stato per ottenere fondi: ne risultava di conseguenza un clero molto inadeguato e insufficiente per il Brasile.
Poi, la principale influenza cattolica in Brasile è stata esercitata dalle irmandades (confraternite) laiche. La Chiesa cattolica ha adottato il medesimo sistema del regime coloniale per controllare la popolazione di schiavi, che ha quindi potuto preservare le tradizioni africane.
Fino alla metà del XX secolo, la Quimbanda e le altre religioni afro-brasiliane non erano considerate religioni, ma magia primitiva e superstiziosa, trasmessa nel corso delle generazioni dagli schiavi africani.
Il movimento della coscienza nera e il movimento delle donne alla fine degli anni ’70 – che hanno aiutato a ottenere le libertà civili durante il lungo processo di ritorno alla democrazia in Brasile – hanno anche creato l’ambiente perfetto per il riaffermarsi della Quimbanda. Gli storici definiscono questo processo reafricanização (re-africanizzazione), termine che indica l’affermazione intenzionale di una estetica (espressioni artistiche nel rappresentare gli Orixà o nel vestirsi o nell’addobbo dei luoghi di culto), di una teologia e di pratiche considerate più africane. Il movimento di risanamento ha causato un aumento di popolarità e rispetto per Exus e Pombas Gira, spiriti precedentemente visti come illeciti e demoniaci. Così, l’emergere della Quimbanda ha mostrato come la cultura afro-brasiliana mirasse a salvare la sua religione tradizionale africana dalle interpretazioni erronee in termini di magia nera superstiziosa, avanzate da parte della classe dirigente bianca. Questo movimento di reafricanizzazione proteggeva al contempo la Quimbanda dall’ideologia predominante della “purificazione” che influenzò l’Umbanda e altre religioni eclettiche afro-brasiliane.
La Quimbanda è cresciuta rapidamente sin dal suo inizio negli anni ’70, specialmente nelle aree urbane del Brasile meridionale. Tuttavia, secondo il censimento brasiliano del 2000, meno dell’1% della popolazione ha affermato di appartenere a religioni afro-brasiliane (tra cui Quimbanda e Umbanda). Sebbene la popolazione brasiliana che segue la Quimbanda sia molto esigua, molte persone di ogni ceto sociale usano occasionalmente rituali Quimbanda. È prassi comune che gli imprenditori consultino gli Exus prima di grandi affari o che i politici facciano lo stesso prima delle elezioni.

6.2.2 LOCAIS MARGINAIS (LUOGHI O SITI MARGINALI)
Locais marginais (“siti marginali”) è un’espressione che si riferisce alle aree che contengono significato magico e spirituale e in cui vengono eseguiti i rituali. Molti rituali di Quimbanda vengono eseguiti nei pressi di un incrocio, poiché Exu è il Signore dei sette incroci e Ogum è il Signore del centro dell’incrocio. Altri luoghi marginali includono le strade di notte (dal momento che gli exus sono chiamati “gente di strada”), cimiteri, spiagge e foreste sempre di notte.

6.2.3 SACRIFICI DI ANIMALI
Non tutti i praticanti di Quimbanda fanno sacrifici di animali. Dipende dal livello degli spiriti. Ad esempio, non vi è alcun sacrificio animale usato per l’Exu coronato. In alcuni rituali con Kiumbas (aspiranti a diventare Exus), i devoti per aiutare uno spirito a progredire in potenza e capacità offrono in sacrificio piccioni, polli, galli, capre, pecore e tori.
Altri rituali prevedono sacrifici di animali per reclutare l’aiuto di uno spirito per compiere un’azione. I sostenitori difendono la pratica affermando che non vi è sacrificio di animali peggiore di quello compiuto nelle macellerie, dove gli animali soffrono più che in un appropriato rituale della Quimbanda.

6.2.4 RITUALI
Un classico rituale di Quimbanda, chiamato trabalho (“lavoro”), è composto da diverse parti: un motivo (una ragione), la dedizione ad uno spirito, un sito marginale, un materiale metallico o argilloso, una bevanda alcolica, un odore e un cibo (di solito una miscela di farina di mais o manioca e olio di palma, a volte chiamato miamiami).
Esempi di trabalho sono i seguenti:
Trabalho 1: “Un lavoro di grande forza, sotto la protezione di Exu Tranca Rua das Almas (Exu che chiude la strada delle anime) per eliminare un nemico”: 1) andare a un incrocio di Exu il lunedì o il venerdì a mezzanotte, se possibile in compagnia di un membro del sesso opposto, 2) salutare Ogum con una bottiglia di birra leggera, una candela bianca o rossa e un sigaro acceso, 3) salutare il Signor Exu Tranca-Rua-das-Almas aprendo sette bottiglie di rum (cachaça) in cerchio, accendendo sette candele rosse e nere e offrendo sette sigari, 4) mettere dentro un alguidar (“ciotola”) e mescolare: farina di manioca, olio di palma e peperoncini, 5) scrivere sul pavimento, al centro del cerchio, il nome della persona che vuoi colpire e, usando un coltello, pugnalarlo violentemente, chiedendo a Exu di rispondere alla tua richiesta.
A seconda dello scopo del rituale, alcuni aspetti del trabalho dovranno cambiare. Ad esempio, se qualcuno vuole ottenere giustizia da Exu, si useranno candele bianche, rum e una richiesta scritta. Inoltre, alcuni colori indicano motivi diversi in un rituale: il bianco simboleggia un motivo onesto e connesso alla giustizia, mentre il rosso e il nero rappresentano un motivo aggressivo e illecito. Altri rituali contrappongono l’odore aspro o pungente dei sigari al dolce profumo dei garofani, a simboleggiare la trasformazione del male nei rituali di aiuto.
Allo stesso modo, i rituali che coinvolgono gli spiriti femminili (Pomba Giras) sono meno aggressivi nelle loro caratteristiche. Un esempio di trabalho per avere una donna è il seguente:
Trabalho 7: “Per avere una donna”: 1) il lunedì o il venerdì sera, andare a un incrocio femminile (a forma di T anziché a forma di X) e salutare Pomba Gira versando della cachaça, o meglio ancora, champagne o anisete (liquore all’anice), 2) mettere due pezzi di stoffa per terra, uno rosso e uno nero, e sopra di essi cinque o sette rose rosse a forma di ferro di cavallo, 3) riempire una tazza di buona qualità con champagne o anisete, 4) mettere il nome della persona desiderata nella tazza o nel centro dei fiori disposti a ferro di cavallo, 5) cantare un ponto (canzone rituale dedicata all’entità) e ringraziare Pomba Gira.

Come si può notare, alcuni elementi particolari di un trabalho per Exu rimangono invariati anche nel caso in cui ci si rivolga a Pomba Gira, controparte femminile di Exu: colori, posizione (variazione da maschio a femmina), ora del giorno, giorno della settimana, profumo (fumicazione), contenitore per alimenti e la miscela di farina e olio di palma. Altri elementi, invece, mutano, essendo specifici di un trabalho per Pomba Gira, e indicano una codificazione più mite del rituale, che sembra meglio adattarsi allo scopo (ossia avere una donna): si passa infatti dalla cachaça allo champagne o all’anice, dall’assenza di fiori alle rose rosse, dal pepe nella miscela di farina e olio di palma al miele, e da un atto feroce (pugnalare il nome della persona) a una canzone.

Differenze tra i rituali per Exu e Pomba Gira

Codice Trabalho per Exu Trabalho per Pomba Gira
Bevanda Cachaça, Whiskey (chiamato Marafo) Champagne o Anisete
Colori Rosso e nero Rosso e nero
Luogo Incrocio maschile o incrocio a X Incrocio femminile o incrocio a T
Tempo Mezzanotte Mezzanotte
Giorno Lunedì o venerdì Lunedì o venerdì
Aroma Sigari Sigaretti o sigarette, rose rosse
Cibo Peperoncino, farina / olio di palma Miele, farina / olio di palma
Recipiente Vaso di metallo o terracotta Vaso di metallo o terracotta
Azione
imitativa Aggressività Canzone

Per ottenere qualcosa, innanzitutto è necessario fare il despacho (offerta) a Exu, perché altrimenti lui disturba tutto il rituale. È lui “l’uomo dell’incrocio”, che vuole popcorn e farina con olio di palma. Il suo feticcio è una massa di argilla con una testa dove gli occhi e la bocca sono rappresentati da gusci incrostati o frammenti di ferro. Appartengono a lui i primi giorni delle feste e i lunedì. In Africa richiedeva, e richiede tuttora, sacrifici umani. In Brasile si soddisfa con la capra, il gallo e il cane.
Arthur Ramos include Exu tra gli Orixás e lo colloca al terzo posto. Ma Edison Carneiro, in uno studio dei Candomblés di Bahia, informa che “Exu non è un orixá: è un servitore degli Orixás e un intermediario tra gli uomini e gli Orixás. Se vogliamo qualcosa di Shangô, per esempio, dobbiamo prima fare il despacho per Exu, affinché con la sua influenza si possa ottenere più facilmente. Non importa quale sia la qualità del favore: Exu farà quello che chiediamo, purché gli diamo le cose che gli piacciono: olio di palma, capra, acqua o cachaça, tabacco”.
Exu — e lo stesso vale per la sua controparte femminile, Pomba Gira — è un’entità molto venale e permalosa e, quindi, muove facilmente la sua volontà in base alle offerte che riceve: il che non dà mai garanzia certa del suo aiuto. Questa è la ragione per cui coloro che lo desiderano come patrono gli offrono ripetutamente offerte (despachos).

6.3 UMBANDA
Il culto Umbanda, oggi abbastanza esteso, è relativamente recente: si è configurato all’inizio del XX secolo in Brasile, strettamente legato allo spiritismo kardecista (a sua volta introdotto nel paese nel 1865).
Numerosi studi e testimonianze affermano che il 15 novembre 1908 nella città di Niterói – Stato di Rio de Janeiro – si è verificato l’atto fondativo della religione Umbanda. Il giovane Zelio de Moraes ha incorporato il Caboclo das Sete Encruzilhadas (dei Sette Incroci) in una sessione di spiritismo kardecista e, dopo varie proteste e rimproveri per il contenuto degli approcci dell’entità manifestata, ha annunciato che il giorno dopo a casa del suo aparelho (“strumento”, così chiamato perché usato dall’entità) avrebbe fondato un nuovo culto per dare voce a una grande porzione di spiriti cacciata via dai circoli spirituali convenzionali. Il giorno dopo, il Caboclo dei Sette Incroci ha annunciato la nascita dell’Umbanda, battezzando quella casa come Tenda Spiritista della Madonna della Misericordia. La stessa notte si è manifestato anche un vecchio, Pai (Padre) Antonio, e immediatamente nella sua prima manifestazione ha incorporato degli elementi materiali caratteristici della religione: la Guida, il ceppo o la panca, e la pipa.
Una prima necessaria precisazione: l’Umbanda presenta una grande varietà interna, dovuta alla mancanza di una gerarchia e di un corpus dottrinale fisso. Si tratta di un movimento caratterizzato dall’autocefalia, dato che ogni terreiro (tempio, luogo di riunione) è totalmente indipendente. Per questo si possono trovare gruppi con accenti più esoterici, spiritisti, africanisti, cristiani, ecc. Tutti si considerano di solito praticanti di quella che chiamano “la religione”.
Ciò precisato, ci sono tuttavia una serie di credenze e pratiche comuni. Alla sua nascita e nei primi tempi, nel culto Umbanda si parlava di tre categorie di entità spirituali intermedie tra la divinità e gli uomini e che finiscono di solito per essere divinizzate: orixàs e exus da un lato, caboclos (spiriti nativi americani) e pretos velhos (spiriti africani). Con il passare del tempo, però, queste entità hanno avuto una crescita considerevole: baianos (nati nello Stato di Bahia, nel Brasile), marinai, butteri, cangaceiros (briganti del Nordest brasiliano), zingari. Dio è chiamato Olorum.
A causa dell’influenza spiritista che ha avuto inizio nel XIX secolo (con il cosiddetto spiritismo kardeciano, di Allan Kardec), l’Umbanda presenta alcune caratteristiche peculiari, come l’attribuzione ad ogni Orixá di una qualità morale oppure la possibilità che si manifestino attraverso un medium, cioè una persona in cui si “incorporano” mentre essa è in stato di trance e che si denomina “asino” o “cavallo” a seconda dell’entità che la possiede in un dato momento. Questa persona potrebbe “incorporare” diverse entità in momenti successivi.
Gli orixás sono quelli che si identificano con il culto cattolico, secondo quanto riportato in tabella:

Orixá Identità originaria Funzione in Umbanda Santo cattolico
Oxalá dio principale Governatore del pianeta Gesù
Ogum dio della guerra Amministratore di giustizia San Giorgio
Oxôsse dio della caccia Favorisce lo sviluppo spirituale San Pantaleone
Xangô dio del fulmine Decide il destino delle anime San Girolamo
Iemanjá dea delle acque Purifica le passioni terrene Vergine Maria
Ibeji e Ibejê dio dei gemelli Restituisce lo spirito dell’infanzia Santi Cosma e Damiano
Omulù dio di malattie e morte Dirige gli exus San Lazzaro

A causa della già segnalata influenza dello spiritismo, al culto sono stati incorporati elementi dottrinali estranei tanto alla religiosità animista africana quanto alla fede cattolica, come la legge del karma e la credenza nella reincarnazione. Per questo ci sono varie correnti dell’umbanda che evitano i sacrifici di animali.
Data l’assenza di un corpus dottrinale fisso (ogni terreiro è infatti autonomo e non ci sono i dogmi) e di una gerarchia unica, il sincretismo nell’Umbanda non fa che crescere e attualmente ci sono anche dei gruppi che hanno mescolato agli elementi dottrinali originali anche le filosofie orientali induiste, con i chakra e la New Age, e l’I King e i Tarocchi alla pari del tradizionale gioco delle conchiglie (dette búzios).
Per quanto riguarda la magia, in teoria essa va utilizzata solo per fini buoni (magia bianca), ma in molti terreiros si realizzano pratiche di magia nera in determinati giorni e ore.
Nella pratica dello Spiritismo (o dell’evocazione) troviamo due finalità diverse, in base alle quali si distingue tra necromanzia e magia:
• per necromanzia (dal greco nekrós: “morto”, e mantéuo: “divinare”) si intende l’arte di evocare spiriti o di provocare, con mezzi meccanici o con altri metodi naturali, la comunicazione con le anime dei defunti o con altri spiriti dell’aldilà, allo scopo di conversare con loro e ottenere da loro messaggi o divinazioni. Questo è quello che fanno ad esempio gli spiritisti kardecisti.
• per magia si intende invece l’arte di evocare gli spiriti per metterli a disposizione o al servizio dell’uomo, allo scopo di agire a favore o contro di esso. Se è a favore sarà “magia bianca” (Umbanda), se è contraria sarà “magia nera” (Quimbanda).

Esiste quindi un elemento comune, generico, lo stesso per necromanzia e magia, per kardecisti e Umbandisti: è il tentativo o la pretesa di “far scendere” gli spiriti dall’aldilà, a prescindere dal tipo di spiriti e dal fatto che poi gli spiriti effettivamente discendano o no. La necromanzia è quindi alla base di qualsiasi spiritismo: senza evocazione non c’è lo spiritismo. Ogni spiritista è un negromante per natura e definizione. Non tutti però sono anche maghi. Ci può essere spiritismo senza magia. Ma non c’è magia senza lo spiritismo. Quindi, ad esempio, lo spiritismo kardecista non rivendica ufficialmente la magia, ma lo spiritismo umbandista vede nella magia la sua missione specifica. Il kardecista potrebbe essere solo un negromante; l’umbandista è un negromante e un mago. Già molto tempo fa i kardecisti iniziarono a praticare la magia: ad esempio “i medici dello spazio” sono evocati per fare operazioni, per dare ricette, passes (una sorta di benedizione), eccetera. Tali riti vengono chiamati “carità”, ma si tratta unicamente e totalmente di “magia”.
Sebbene queste differenze tra Kardecismo e Umbanda non riguardino l’essenza dello spiritismo in quanto tale nella dottrina e nella filosofia, l’Umbanda si considera superiore e si ritiene la forma di religione più completa, la Quarta Rivelazione .
Gli umbandisti non sono modesti: “L’Umbanda è l’unica religione sulla faccia della terra che ha abbastanza autorità per parlare e trattare delle cose divine” .
Perché: “Tanto quanto il Buddismo ha ereditato quasi tutto dal Bramanismo, il Cristianesimo ha conservato il meglio del Mosaismo, così l’Umbanda conserva e custodisce quel che di buono e utile c’è stato in tutte le religioni del passato. L’Umbanda non è soltanto una corrente religiosa: è il sincretismo di tutte le correnti religiose, conserva i fondamenti di tutte le teogonie e riassume le basi di tutte le filosofie” .
Oltre all’influenza kardecista, l’Umbanda appartiene allo stesso universo della Quimbanda, anche se c’è chi vuole distinguerle fra di loro.
A questo proposito, tuttavia, Aluísio Fontenelle, che si dice sia “sacerdote delle varie sette dell’Umbanda”, assicurando di essere “un vero conoscitore di tutte le pratiche che si svolgono nei vari terreiros” e considerandosi per questo “cattedratico nell’argomento”, scrive così: “Nella sua essenza più profonda, la Quimbanda è quasi identica a ciò che viene praticato in Umbanda, poiché da quella è nata quest’ultima. Dico che l’Umbanda fa parte della Quimbanda, perché la sua composizione, le sue attività, le sue divinità, le sue leggende, il suo rituale (in gran parte), il suo protocollo, e in generale le sue convinzioni sono orientate nello stesso senso, divergendo solo rispetto all’abbigliamento e a certe pratiche. La Quimbanda rimane nel fermo proposito di mantenere le antiche tradizioni dei suoi antenati africani; l’Umbanda, al contrario, cerca di allontanare completamente aspetti incivili dalle sue pratiche, a causa dell’influenza dell’uomo bianco il cui grado di istruzione non le ammette più”.
E sebbene alcuni umbandisti teoricamente affermino di volere solo la Magia Bianca, la realtà dei terreiros, tuttavia, manifesta ampiamente il contrario.
Oliveira Magno, in Prática de Umbanda, dichiara di conoscere umbandisti “che, nel fondo delle loro tende o terreiros, o nelle loro case, fanno lo stesso lavoro,” cioè lavorano “per costringere il fidanzato o l’amante a tornare e sposarsi; per legare l’uomo con la donna, in modo che il marito sia soddisfatto della donna che ha il suo amante o in modo che la donna prenda un altro uomo, cosicché l’uomo sia attivo sessualmente solo per una donna; per sapere in un sogno chi sposerà; per legare la vita e gli affari degli altri e rovinarli; per costringere gli altri a fare ciò che non è giusto, per punire i nemici, farli ammalare o ucciderli, ecc.”.
Un altro autore riconosce anche l’esistenza di molti umbandisti “che lo fanno ancora, aumentando la cecità e l’ignoranza di questi infelici confratelli e, peggio, facendo despachos con fini malevoli, proiettando le falangi arretrate contro fratelli incarnati e increduli , che soffrono molto spesso l’effetto senza capire l’origine del male che stanno soffrendo, perché non sono a conoscenza dell’Umbanda e della Quimbanda”.

6.3.1 GERARCHIA
L’estrema complessità dei riti e delle cerimonie per l’evocazione magica di orixás, eguns ed exus, o per altre “opere caritatevoli spirituali”, richiede personale numeroso, sufficientemente istruito e abilitato.
L’autorità nel terreiro è il babalawo, chiamato anche babalorixà o pai (padre) . Accanto a lui possono trovarsi gerarchie minori, simili a quelle di Candomblé, con dei medium sviluppati e in via di sviluppo nei vari gradi. Durante lo svolgimento del culto, il babalawo incorpora o incarna in modo permanente — in stato di trance — l’orixà che protegge il tempio e svolge le funzioni di direzione del culto e della preghiera, di preparazione dei partecipanti e di identificazione dei diversi spiriti che si manifestano nel corso del rito o del trabalho. È anche incaricato di tutta la sfera terapeutica (inclusa la diagnosi e la guarigione di persone attraverso mezzi magici) e divinatoria (risponde alle domande con il gioco dei búzios, il lancio di piccole conchiglie consacrate, come nella santeria).
Il Catecismo de Umbanda riassume le funzioni del babalorixá:
1) incorporare lo spirito del Dono do terreiro (proprietario del terreiro), sotto la cui protezione si fanno i trabalhos (lavori) del terreiro;
2) identificare gli spiriti che si manifestano;
3) eseguire tutte le pratiche magiche necessarie per la consacrazione degli otás, cioè delle immagini degli orixás che baixam (scendono) nel terreiro;
4) riscar (tracciare) il ponto agli inizi dei trabalhos;
5) spiegare la dottrina, facendo la predicazione, in sessioni dedicate a trabalhos de demanda (lavori su richiesta contro realtà avverse);
6) dare i passes (una sorta di benedizione), nelle sessioni di carità;
7) diagnosticare le malattie e impiegare le erbe nella terapia di cura;
8) evitare dispute, litigi e inimicizie tra i soci di un terreiro;
9) controllare i trabalhos dei medium e degli ausiliari del terreiro;
10) conoscere l’arte della divinazione tramite i búzios (conchiglie, gusci), conoscere la cartomanzia e la chiromanzia (lettura delle mani).

Altri aggiungono che il pai-de-santo (padre-di-santo) deve anche presiedere i sacrifici, preparare e avviare i filhos-de-santo (figli-di-santi) e preparare e fare opere di stregoneria. La mãe-de-santo (madre-di-santo) ha gli stessi compiti e diritti; soltanto non può indovinare tramite l’Ifá , perché è una donna, ma può indovinare dai gusci.
Babaquererê (Pai pequeno = Padre piccolo) e iaquererê (Mãe pequena = Madre piccola) sono gli immediati consiglieri del babalorixá o della ialorixá nel comando del terreiro.
Ialaxé è colei che ha cura delle offerte e delle cose materiali degli orixás.
L’Agibonã (Mãe criadeira, ossia la “madre che alleva”) è chi ha cura degli iaôs (figli di santo) durante i rituali d’di iniziazione.
Un altro posto di rilievo è occupato dalla iabassê, ossia la responsabile della cucina del terreiro.
In seguito vengono gli ogans o ogãs, uomini che consigliano direttamente il babalawô, curano il cerimoniale, dirigono i trabalhos di incorporazione dei medium, intonano le canzoni (pontos cantados) e si adoperano per il perfetto ordine del terreiro. Devono conoscere la potenza delle erbe, i segreti e gli effetti dei punti tracciati (pontos riscados), il cibo dei Santos (piatti cerimoniali da servire nelle feste o per ingraziarsi un Orixà); devono anche saper maneggiare il coltello per sacrificare gli animali.
Quando sono donne, si chiamano jabonan o jibonan. Esse devono anche dirigere le danze e occuparsi delle altre donne.
Al di sotto ci sono poi i cambones, cambonos o cambandos, e le sambas. Tutti sono Filhos o Filhas de Santo. Sono ausiliari, ai quali compete aprire il terreiro per ricevere qualsiasi babalawô, asciugare il viso dei medium, evitare che si feriscano, soccorrerli quando sono in trance, aiutare nelle danze e cantare nelle grandi cerimonie. I cambones prestano assistenza agli uomini, le sambas alle donne.
Seguono, infine, i medium, ritenuti in grado di incorporare o ricevere gli Orixás minori. Nell’Umbanda questi medium, quando incorporano gli Orixás, sono chiamati anche cavalos (“cavalli”), aparelhos (letteralmente “apparecchi”, nel senso di “strumenti degli spiriti”, termine ricorrente nell’Umbanda), moleques (“marmocchi”), etc. Quando il medium del terreiro incorpora un Exú, si dice burro (“asino”); queste espressioni sono frequenti tra gli umbandisti e non c’è niente di offensivo in esse.
Di solito durante il rito si vestono abiti bianchi. I terreiros sono luoghi in cui si trovano altari con la rappresentazione delle diverse divinità; oltre a queste sessioni di trance e danze, si celebrano battesimi e nozze. Esiste persino un servizio sociale realizzato dal tempio.

6.3.2 IL MUNTU
Eredi della filosofia banto (che poi si sommerà a quella kardecista), credono che gli esseri umani siano forza o energia. Questa forza intrinseca dell’essere può aumentare, crescere, svilupparsi, ma può anche diminuire o indebolirsi e spegnersi totalmente.
Tra le forze degli esseri vengono esercitate anche influenze reciproche. Questo accade in modo particolare nel caso dell’essere umano, in cui la forza vitale e ontologica è chiamata muntu (forma singolare di banto), che corrisponde più o meno alla nostra “anima”, ma nel suo aspetto dinamico e non in quello statico. Questo muntu può e dovrebbe essere sviluppato. Il muntu dei vivi è in costante comunicazione con il muntu dei defunti, specialmente quello degli antenati e dei capi defunti dei clan. Questi “padri” o “vecchi neri” continuano a esercitare le loro forze sui discendenti.
Il defunto che non ha più rapporti con i vivi è totalmente “morto”: questa sarebbe la più grande disgrazia per i Bantu. Secondo loro, i defunti cercano i rapporti con i vivi. E queste relazioni o influenze vitali tra vivi e defunti appartengono alla vita comune e quotidiana dei Bantos.
Il muntu è libero, ha una volontà propria e può scegliere; può influenzare il muntu degli altri e, per malevolenza, odio, invidia, danneggiarlo, indebolirlo e persino annientarlo.
Il modo di parlare dei Bantu a volte dà l’impressione che questi credano nella possibilità della reincarnazione del muntu.
Quando un bambino nasce, dicono infatti alla madre: “Hai dato alla luce nostro nonno”. Spesso dichiarano anche che questo o quel defunto è appena nato. Alcuni europei giunsero dunque alla conclusione che i Bantu accettavano l’idea della reincarnazione.
Ma Placido Tempels ha osservato che lo stesso nonno può nascere contemporaneamente in diversi bambini. In un clan ci sono cinque o sei persone in cui il vecchio Ilunga o Ngoi “è rinato”. E allo stesso tempo parlano ancora del vecchio Ngoi come un defunto. Pertanto, Tempels pensa che il “ritorno” del muntu dell’antenato debba essere inteso nel senso di una particolare influenza su questo o quel bambino: il vecchio Ngoi sarebbe il muntu protettivo (“guida”) del bambino. Di solito è l’indovino a rivelare quale muntu è “ritornato” nel bambino.
I Bantu hanno immaginato quindi una serie di pratiche, apparentemente “magiche”, intese a consentire o facilitare le influenze reciproche dei muntu (tutti gli esseri hanno un muntu, non solo gli uomini). E le azioni sono considerate buone o cattive nella misura in cui favoriscono o ostacolano lo sviluppo del muntu. Questo criterio per distinguere tra bene e male dà vita a un’etica completamente diversa dalla nostra.

6.3.3 DOTTRINA
È molto difficile dire quale sia esattamente la dottrina, la filosofia o il pensiero degli Umbandisti. Analizzando i moltissimi Statuti di associazioni che si chiamano tutte umbandistas, si vede che non ci sono solo tendenze diverse, ma addirittura contrarie e perfino contraddittorie tra loro. Questo è il motivo per cui raggrupperemo tali dottrine in base alle tendenze.
Per qualificarle ci serviamo della fonte che sembra essere la più sicura e chiara: gli statuti ufficiali di ciascuna entità, specialmente l’articolo che parla degli scopi della rispettiva organizzazione, studiati da Padre Bonaventura Kloppenburg, OFM , che ha esaminato più di duemila Statuti diversi.
Si distinguono:

1) Terreiros con tendenze indefinite o poco chiare o molto generiche. A loro volta si suddividono in tre gruppi:
a) quelli che nei loro Statuti dichiarano soltanto di voler fare “Spiritismo”, senza un’altra specificazione;
b) altri che precisano di volere uno “Spiritismo di Umbanda”;
c) altre organizzazioni che aggiungono un terzo elemento vago e indefinito: desiderano praticare lo Spiritismo, l’Umbanda “e altre correlate” (tra cui Occultismo).

2) Terreiros con tendenze africaniste. Anche in questo gruppo si possono distinguere diverse modalità:
a) un gran numero di terreiros che dichiarano semplicemente, nei loro statuti, di “praticare e diffondere la dottrina afro-brasiliana” o di “diffondere la dottrina religiosa afro-brasiliana” o di “praticare il bene sotto il ritmo afro-brasiliano” e simili;
b) altri che sono più espliciti: “si intende praticare, secondo il rito africano, l’adorazione degli Dei del Pantheon, mantenuta dai discendenti delle nazioni primitive importate in questa parte del Brasile” o “per diffondere e praticare la dottrina afro-brasiliana delle varie Nazioni come Angola, Congo, Nagô, Gêge, Tjexa, Benguela, Cuiné”.
Si può dunque affermare che questo ampio insieme di terreiros dichiara di professarsi come africanista e pagano. Poco importa che la maggior parte di loro abbia all’apparenza un nome cristiano, come la già citata Società Nossa Senhora da Conceição (Madonna Immacolata) o la Cabana Nossa Senhora da Guia (Madonna della Guida). Il loro cristianesimo è limitato esclusivamente al nome ed è per così dire di pura facciata: ci saranno certamente, nel terreiro, altari con immagini della Madonna, di Sant’Antonio e di San Giorgio, ma il cuore, lo scopo, le pratiche, le dottrine, la vita di questi terreiros sono dichiaratamente pagani. Loro stessi si impegnano a proclamarlo negli Statuti.
3) Terreiros con tendenze cristiane. Anche qui ci sono due gruppi:
a) uno che si esprime in modo più impreciso: “predicare il Vangelo secondo lo Spiritismo” o “divulgare lo Spiritismo secondo i Vangeli di Gesù”. Molti esprimono la loro finalità così: “Studio e pratica del culto di Umbanda, basato sull’insegnamento del Cristianesimo”.
b) un altro che si esprime in termini più concreti: “Resta ben definito e confermato che la Tenda, sin dalla sua fondazione, ha il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo come l’obiettivo massimo da raggiungere, in modo che sia imperativo e assolutamente indispensabile in tutti gli incontri e le sessioni tenute sotto gli auspici di questa Tenda impiegare parte del tempo nella lettura e nel commento dei versetti del Nuovo Testamento” o “Nessuna sessione realizzata nelle Tende sarà iniziata o conclusa senza preghiera, così come saranno d’obbligo 10 minuti di spiegazione su questioni spirituali, in particolare il Vangelo” o ancora “La dottrina predicata nella capanna è quella di Gesù alla luce dello Spiritismo”.

4) Terreiros con tendenze kardeciste. La lotta tra Kardecistas e Umbandistas è nota e pubblica, poiché i primi non accettano che i secondi siano denominati “spiritisti” o siano riconosciuti come “Spiritismo basso”. Riportiamo degli esempi tratti dai loro statuti: “Promuovere sessioni dottrinali, basate sullo studio teorico e pratico dello Spiritismo scientifico e filosofico kardecista spiritista di Umbanda in tutto il suo rituale e le sue modalità” o “hanno come fine lo studio pratico e teorico dello Spiritismo di Umbanda e Kardec” o “lo studio e la pratica dello spiritismo, sia Kardecista che Umbandista” o “Congregare nel suo seno, come associati, indipendentemente dal colore, dalla credenza o dalla nazionalità tutti coloro che desiderano studiare e praticare la dottrina diffusa da Allan Kardec e altri luminari della scienza religiosa-spirituale, così come il metodo umbandista”.

5) Terreiros con tendenze esoteriche. Anche in questo caso riprendiamo affermazioni contenute negli statuti: “Lo studio teorico kardecista, potendo fare lo studio sperimentale dell’umbandismo, esoterismo…” o “lo studio e la pratica dello Spiritismo di Umbanda Esoterica”.
Luís da Câmara Cascudo, nell’eccellente e interessante studio sulla magia bianca nel Brasile, intitolato Meleagro (Rio, Agir, 1951), p. 138 informa: “Da circa venti anni a questa data, negli “Stati”, stanze riservate ai “tavoli” del Catimbó, ci sono molti libri sullo spiritismo e sulle scienze occulte, delle edizioni “O Pensamento” (Il Pensiero), volantini del “Circolo Esoterico della Comunione del Pensiero”, di San Paolo [del Brasile]”.
Il leader umbandista Emanuel Zespo, in Pontos Cantados e Riscados de Umbanda (Punti Cantati e Tracciati di Umbanda), raccomanda: “Chiunque voglia usare il punto cantato con maestria ed educare al potere magico della parola, dovrebbe leggere i classici magici Elifas Levi, Gerard Encause (Papus), Helena Blavatsky, Nostradamus e altri, e meditarli profondamente. Una nozione di Cabala e ermetismo sono anche indispensabili per chiunque si proponga di dirigere un…” .

6) Terreiros con tendenze sanciprianiste. Il neologismo, a prima vista sorprendente, proviene dal famoso “Libro di San Cipriano”, la più alta espressione della stregoneria. Il libro continua ad essere usato oggi nell’ambiente degli Umbandisti, insieme ad altri simili ad esempio: As Clavículas de Solomão [Le Clavicole di Salomone], il Legitimo Livro da Bruxa [Legittimo Libro della Strega], Livro de Orações da Cruz de Caravaca [Libro di Preghiere della Croce di Caravaca], Tratado de Magia Oculta [Trattato di Magia Occulta], Antigo e Verdadeiro Livro dos Sonhos [Antico e Vero Libro dei Sogni], Breviário de Nostradamus [Breviario di Nostradamus], Livro do Feiticeiro ou a ciência do Juca Rosa revelada [Libro dello Stregone o la scienza di Juca Rosa rivelata]. Senza dubbio questi libri hanno influenza in molti terreiros e guidano i babalawôs in modo più sicuro di quanto possano fare le “guide” dell’aldilà.

7) Terreiros con tendenze diverse. Potremmo, per esempio, ricordare certe tendenze massoniche, come nella Fraternità Eclettica Spiritualista Universale, che ha come opera fondamentale l’Evangelho da Umbanda (Vangelo dell’Umbanda), del Maestro Yokaanam, che ci tiene a firmare con i tre punti. Anche l’organizzazione del Ordem Umbandista do Silêncio (Ordine Umbandista del Silenzio) obbedisce interamente ai caratteristici stampi della Massoneria (anche con diversi “gradi medianici”). Anche certe tendenze rosacrociane non mancano in alcuni terreiros. Ad esempio, la grande Tenda Espírita Mirim (Tenda Spiritista Mirim ), a Rio de Janeiro, ha presentato al I Congresso Brasileiro do Espiritismo de Umbanda (1º Congresso Brasiliano dello Spiritismo e dell’Umbanda), nella sessione del 24-10-1941, una tesi su “Cristo e seus Auxiliares” (Cristo e i suoi Ausiliari), copiando pagine intere dell’opera Concepto Rosacruz del Cosmos (Concetti Rosacroce del Cosmo) di Max Heindel (pur senza citare l’autore o l’opera), come se fossero patrimonio della dottrina umbandista. Potremmo documentare anche certe tendenze occultiste, come nel Centro Espírita Senhor do Bonfim, di Rio de Janeiro, che nelle riunioni del lunedì dice trabalhar (lavorare) col Caboclo Ubirajara e sue falangi; di mercoledì fa sessioni di “studio di Scienze Occulte”; e di venerdì trabalha (lavora) con Pai Antônio de Angola (Padre Antonio di Angola) e i suoi Pretos Velhos (Neri Vecchi). Non mancano terreiros con inclinazioni alla teosofia (con il suo panteismo), allo ioguismo , o zarurismo .

6.3.3.1 I SACRAMENTI
Nell’Umbanda ci sono dei “sacramenti”. In un Catechismo umbandista leggiamo:

26. Quanti sono i sacramenti, nell’Umbanda?
R. Sono sette.

27. Quali sono i sacramenti, nell’Umbanda?
R. I sette sacramenti dell’Umbanda sono:
1) Battesimo;
2) Confermazione;
3) Cruzamento;
4) Ordinazione;
5) Abdatismo;
6) Matrimonio;
7) Acruzamento

Poi lo stesso Catechismo spiega che “il rituale del Battesimo, nell’Umbanda, non è uguale per tutti”; che la Confermazione è un sacramento “attraverso il quale si conferma il battezzato nella fede di Umbanda”; che il Cruzamento “può essere amministrato soltanto a coloro che sono destinati al servizio di medium di Umbanda”; che l’Ordinazione o il secondo grande Cruzamento “conferisce poteri al Cacicado”; che l’Abdatismo “è la quinta grande iniziazione nella vita del figlio di Umbanda (…) è il sacramento che conferisce il grado di Superiore dell’Ordine, corrispondente all’abadessado in altre sette”; e poi che il Matrimonio perfetto deve essere indissolubile; e ancora che l’Acruzamento significa “liberare dalla croce terrena”, una specie di estrema-unzione.

6.3.3.2 PRINCIPI DI MORALE
Tutta la letteratura umbandista a nostra disposizione omette di trattare le questioni e i princìpi di morale. Si limita generalmente a dire che “bisogna fare la carità”, ma neanche la parola “carità” riceve una chiara definizione.
Tantissime volte la pratica della magia à identificata con la pratica della carità. Tanti usano semplicemente i princìpi della morale cattolica, nella misura in cui la conoscono. Ma non tutti la seguono rettamente, applicando piuttosto nei terreiros una morale di situazione, a seconda del gusto di ciascun consulente che viene a chiedere dei consigli o a risolvere problemi, talora anche con gravissime offese alla morale cristiana: permettono l’aborto quando “necessario” per salvare la fama; consigliano di frequentare settimanalmente case di prostituzione; raccomandano mezzi fisici abortivi per evitare figli, etc. Alcuni capi di terreiros dicono chiaramente che “il peccato non esiste”.

6.3.3.3 TIPI DI SESSIONE
Di solito si distinguono, nell’Umbanda, tre tipi di sessioni:
1) sessioni pubbliche;
2) sessioni privative per i soci;
3) sessioni speciali per lo “sviluppo” (l’attività di capacitazione e formazione) dei medium.

Esaminiamole singolarmente:
1) Le sessioni pubbliche, anche chiamate “sessioni di beneficenza o carità”, obbediscono più o meno al seguente ordine, descritto dal babalawô Lourenço Braga : “Una volta che i “punti di sicurezza” (contro gli exus, o gli spiriti maligni, in modo da non rovinare il lavoro del terreiro) vengono tracciati e cantati, i medium devono ricevere la loro “guida”, che “scaricherà” il medium. Il presidente o capo del terreiro ordina che un medium “veggente” o “uditivo” esamini tutti i medium e i cambonos per vedere se qualcuno di loro ata (“ha un legame”) con un espirito encostado (questa verifica può essere fatta anche da un “incorporato”, ossia da chi ha ricevuto un spirito guida). Fatta in questo modo la pulizia dell’ambiente e dei medium, con l’aiuto di affumicatori e altri mezzi magici, inizia l’esame delle persone che partecipano per la prima volta: il medium descrive ciò che vede attorno al paziente, dicendo se c’è qualche trabalho svolto contro di lui, se ci sono le falangi grandi o piccole e a quale un gruppo di spiriti appartiene, se ci sono spiriti sofferenti (spiriti che portano delle sofferenze karmiche) o spiriti più oscuri intorno a lui, se c’è una malattia o se sta attraversando un momento di prova. Poi verranno disegnati diversi “punti” per rimuovere le falangi degli ossessori e il Presidente (o babalawô) chiede di “bruciare, tagliare, rompere e distruggere qualsiasi punto di ormeggio, precetto o patuà , fatto contro la persona esaminata”. Quindi il medium chiarisce se è rimasto qualche spirito che ancora deve scendere (ossia manifestarsi).
La maggior parte dei terreiros iniziano immediatamente con la fumicazione all’ingresso dell’ambiente, ai quattro angoli del recinto, al Presidente, al Capo del Terreiro, agli attuali direttori, ai medium, ai cambones, ecc., mentre si canta anche un punto adatto alla fumicazione. Finiti i trabalhos, si canta un altro punto per scaricare l’ambiente e tutti i presenti. Segue poi il momento nel quale il babalawô tiene un discorso sulla dottrina, di circa 15 o 20 minuti. Molte volte, inoltre, dopo la fumicazione iniziale e primi punti cantati, si inizia a fare il sondaggio o, come dicono, a “salvare” le diverse falangi di Umbanda. Arthur Ramos afferma che questa espressione è arrivata dall’Africa.

2) Sessioni per i soci. A questo scopo è fissato un determinato giorno della settimana; si distingue tra: esame e scarica delle energie negative dei soci; scarica nelle case dei soci o irradiazione a distanza nelle persone pazze o malate, impossibilitate a muoversi. Nei giorni di esame e scarica dei soci, si osserva il processo precedente. Nei giorni di scarica o irradiazioni per le case dei soci si fa così: 3, 4 o 5 persone si alzano, chiudono gli occhi e si concentrano fermamente sulla casa o sulla persona sulla quale le irradiazioni devono essere scaricate; il babalawô inizia un punto (canto rituale) e comanda che la falange (gruppo di spiriti con la stessa vibrazione energetica e che “lavorano” insieme) chiamata segua per fare la pulizia spirituale dell’ambiente o della persona. Per queste irradiazioni, due minuti sono sufficienti: finito questo tempo, si possono aprire gli occhi e ci si può sedere.

3) Sessioni di sviluppo dei medium. Nell’Umbanda generalmente cercano di sviluppare solamente la “medianità d’incorporazione”. A questo scopo è scelto e fissato un giorno della settimana. I medium devono comparire con delle uniformi, con scarpe di tela o scalzi. Le donne con camicie bianche lunghe e calzoni; gli uomini con pantaloni e camicie bianche, tenendo alla sinistra del petto ricamato il ponto riscado (simbolo che identifica l’entità) del patrono e, alla destra, il proprio nome.
Le donne sono poste su un lato del terreiro e gli uomini sull’altro. Vengono cantati diversi punti, mentre i medium cercano di concentrarsi, con gli occhi e la bocca chiusi, respirando solo con il naso. Durante le sessioni, qualunque esse siano, non devono incrociare i loro piedi, le mani, le gambe o le braccia. Nel giorno dello sviluppo i medium dovrebbero fare uno speciale bagno per scaricarsi (si usano di solito foglie o rami di guinea, pipiu, arruda e sale grosso). Il Capo del terreiro osserverà l’affinità di ciascun medium con le varie guide o spiriti e richiederà che le incorporazioni siano totali, ossia complete, con il possesso totale del medium da parte dello spirito guida (a volte infatti il medium fa resistenza allo spirito, il quale non riesce a possederlo totalmente). Quando l’incorporazione non è totale, lo spirito non può lavorare adeguatamente perché il suo aparelho (“apparecchio”) non consente di farlo.

6.3.3.4 CERIMONIE E RITI NEI TERREIROS
Ci sono nei terreiros una serie di cerimonie (alcune pubbliche, altre no) che possiamo suddividere in: sacrifici o “obblighi”; letture di fortuna; trabalhos di Caboclos e di Prestos Velhos e altre cerimonie vietate ai “profani”.

6.3.3.4.1 I SACRIFICI O LE OBRIGAÇÕES
Sono doni fatti a una o più Entità, per rispettare un obbligo prestabilito, o per riverire un Orixá nel suo giorno festivo, o in cambio di un favore ricevuto o, in casi speciali, per una richiesta di particolare rilevanza. Gli Umbandisti distinguono infatti quattro tipi di sacrificio: 1) di obbligo; 2) di riverenza; 3) di ringraziamento 4) di petizione.
Ogni offerta si caratterizza per quattro elementi: 1) cosa offrire; 2) come fare l’offerta; 3) il locale dove sacrificare; 4) l’ora in cui deve essere offerto il sacrificio.
Quanto all’oggetto o al materiale dell’offerta, gli umbandisti nel culto degli orixás (non parliamo qui della Quimbanda o del culto agli exus) di solito usano: fiori (gigli, rose rosse senza spine, gelsomino), bevande (birra bianca, vino bianco, champagne, marafo ), miele, sigari, rami di tabacco, rapadura , pó de arroz , vassoi, coppe di cristallo, profumi, candele e altre cose.
Riguardo il modo di fare l’offerta, si distinguono la preparazione dell’offerente (che deve prima fare dei banhos de descarga per purificare lo spirito per la preghiera), la pulizia del materiale che sarà offerto (portare via i segni, i marchi e le etichette, i sigilli, ecc.) e le azioni che devono essere fatte nel locale (saluti all’Entità, preghiere di offerta).
Il luogo cambia secondo la “vibrazione” peculiare dello spirito (mare, foresta, fiumi, cascate, incroci, cimiteri, ecc.) e dipende anche dalla luna.
Le ore migliori sono: dalle 5 alle 7, dalle 12 alle 13, dalle 15 alle 18.00.
Nei terreiros con tendenze africaniste la maggior parte delle obrigações (offerte) sono accompagnate dall’uccisione di svariati animali .
Le offerte sono tra le cerimonie più importanti e la persona specializzata per compiere il sacrificio si chiama Axôgun (letteralmente mano-di-coltello).
L’uccisione deve obbedire a molte regole. Se non si è fedeli ad applicarle, l’Orixá non solo rifiuta il sacrificio, ma è in grado di “riscuotere il doppio o il triplo” . Da qui la grande cura che viene posta nel realizzare questa cerimonia. Bisogna essere in grado di scegliere il tipo di animale che l’Orixá vuole, il suo colore, il sesso, ecc.

6.3.3.4.2 LE DIVINAZIONI
Molti vanno al terreiro per chiedere al Padre di Santo di fare il “lancio dei búzios”, cioè, interrogare gli spiriti su un certo problema, sull’origine di qualche afflizione o malattia, sul successo di certe imprese, ma anche per risolvere problemi politici. Búzios o buzos sono piccole conchiglie per mezzo delle quali i babalawôs si mettono in contatto con gli spiriti.
Le conchiglie, dopo essere state raccolte sulla spiaggia, ricevono un ‘battesimo’. Le conchiglie così consacrate sono conservate all’interno dell’altare. Di solito il numero delle conchiglie è 12, ma può aumentare fino a 16 o 20. Le conchiglie ricevono ciascuna il nome di un Orixá. Tra gli umbandisti “il gioco delle conchiglie è una decisione spirituale simile al giudizio di un tribunale libero” .
Nei terreiros sono ancora in uso altri modi di fare divinazione. Molto usato è anche il rosario o la collana di Ifá, potente orixá degli indovini. Questa collana è una catena di metallo e ogni perla è una mezza noce di mango. Il babalawô lancia la collana sul pavimento del pegi (dove si trova l’altare) e la posizione delle noci predice il futuro o racconta il passato. Questo tipo di divinazione è proibito alle donne.
Un altro metodo di divinazione è “riempire le mani con i frutti di dendê (una specie di palma), scuoterli, mescolarli bene e poi lanciarli sul tavolo o sul terreno, portando gradualmente l’indovino alle sue conclusioni” .

6.3.3.4.3 TRABALHOS DI CABOCLOS E PRETOS VELHOS
I terreiros di Umbanda sono anche caratterizzati dai trabalhos dei Caboclos e dei Pretos-Velhos.
1) I Pretos Velhos (Neri Vecchi) sono di solito considerati spiriti degli antichi schiavi (appartengono, dunque, alla categoria degli eguns). Sono predominanti nei terreiros con tendenze africane, ma “scendono” anche in altre tende, e anche in quelle che sono fanaticamente anti-africane. Il medium (o il “cavallo”) che “riceve” uno di questi Pretos Velhos di solito si curva, come se fosse vecchio veramente. Si presentano con molta modestia e umiltà, parlando un linguaggio confuso e un portoghese storpiato. All’inizio è difficile comprenderli. Chiedono la pipa per fumare (tramite “l’apparecchio” o medium). Bevono cachaça o vino. A loro piace sedersi su un ceppo o panchina (detto toco). Danno consigli, risolvono le difficoltà, perdonano e scusano facilmente i difetti umani. Sono pazienti e generalmente sono di buon umore. Il loro lavoro specifico è dar passes (“dare delle benedizioni”) ai malati. Vengono chiamati più comunemente Pai (padre) o Tio (zio), se sono maschi; Mãe (madre) o Tia (zia) se femmine. I più conosciuti nei terreiros del Brasile sono: Rei Congo, Vovô Benedito, Pai Cipriano, Pai Agostinho, Pai Chico, Pai João, Pai José da Praia, Pai Velho, Pai Jobá, Pai Guiné, Pai Serapião, Pai Chico Preto, Mestre Luís, Tio Antônio, Tio Custódio e Pai Tomás. Ci sono anche delle Pretas Velhas (Nere Vecchie): Mãe Maria, Mãe Emília, Maria Conga (la più popolare), Tia Rosa, Vovó Luiza, Vovó Ganga.
Gli umbandisti di solito danno offerte ai Pretos Velhos come rapadura, sigari, miele, cachaça, pé-de-moleque , cocada , tabacco, caramelle. Questi “doni” sono collocati nell’erba del giardino, all’angolo dell’incrocio, alla porta di una chiesa, ai piedi dell’arruda o della guinea, ovunque nella strada, in una piazza tra gli alberi. Quando il dono è per Tia Rosa, deve essere posto in un giardino ai piedi di un cespuglio di rose.
2) I Caboclos sarebbero gli índios (indiani) o sertanejos (persone nate nella campagna dai bianchi uniti agli indigeni). Sono predominanti nei terreiros del Nord e nei luoghi dove l’influenza africana è meno sentita. Nell’interno del Rio Grande do Sul, ad esempio, i terreiros di Umbanda sono conosciuti semplicemente come caboclos. Accade lo stesso a Ceará.
Il Caboclo di solito “scende” con violenza, trambusto e impeto. È caratterizzato da un fischio. Vuole vestirsi con piume, con copricapi impiumati, pennacchi e gonnelle di piume. Fuma sigari (carurutos) e beve (lui dice curiar) marafo (o cachaça), sangue-di-Cristo (vino rosso) e beja (o cerveja). Obbliga il suo “cavallo” (il medium) ad assumere un atteggiamento guerresco: busto eretto, fisionomia chiusa e gesti maleducati e rozzi. Parla in modo difficile, molte volte tra i denti. Le prime volte quasi non si capisce, ma gli piace rendersi utile. La sua specialità è il trabalho de demanda o il “disfare sortilegi”. Si dedica anche ai malati. Ma, secondo lui, il malato ha quasi sempre encosto o coisa feita . I più noti Caboclos sono: Tupinambá, Tupimirim, Urubatão, Cachoeira, Serra Negra, Girassol, Sete Flechas, Arruda, Sete Encruzilhadas, Rompe Mato, Arranca Toco, Pedra Preta, Junco Verde, Vira Mundo, Treme Terra, Pena Branca, Pena Vermelha, Cobra Coral, Ubirajara, Sete Cachoeiras, Folha Verde, Sete Luzes, Araripe. Ci sono anche Caboclas femmine: Jurema, Iracema, Cici, Jupira, Diamantina.
Ai Caboclos si offrono i seguenti doni: sigaro acceso, vino rosso, guaranà, pacchetto di sigarette, birra bianca, arancia con la buccia e aperta a metà, acqua con miele, spade di San Giorgio in croce. Le Caboclas amano anche tre gigli legati con un nastro bianco e circondati dal miele.
Ci sono anche preghiere specifiche indirizzate ai Caboclos.

6.3.3.4.4 ALTRE CERIMONIE
Ci sono nell’Umbanda cerimonie a cui gli estranei non possono partecipare, per esempio: preparazione delle pietanze e delle bevande di Santo, lavaggio delle guias degli Orixás, obrigações (sacrifici) nel mare e nella cascata, l’assentamento degli otás, il padê di Exu, precetti legati alla nascita, il matrimonio umbandista, fechamento do corpo, confermazione dell’angelo custode, reservar a cabeça, lavaggio degli strumenti dell’Orixá, obrigação (sacrificio) a ciascuno degli orixás, la festa dell’ongombe, despachar ebó (fare delle offerte rituali), congedare il Santo, tirar (togliere) la mano della testa, troca (cambiamento) di testa , eccetera.

7. LA RELAZIONE DEI CULTI AFROBRASILIANI CON L’AZIONE DEMONIACA
Come già accennato in precedenza, un elemento importante da tener presente in alcuni culti afroamericani è la notevole influenza dello spiritismo contemporaneo. E non solo: ci sono autori che sottolineano l’influsso di altre correnti esoteriche occidentali nella configurazione del sincretismo afroamericano. Uno studioso ha segnalato che, benché le credenze provengano dall’Africa nera, “i rituali che si praticano – persino quelli realizzati dagli incantatori – si basano su principi della magia francese e indoeuropea” (Gersi 1994, 179). Il riferimento è alla presenza in Haiti di alcuni sacerdoti cattolici che furono espulsi dalla Francia con l’accusa di essere massoni e di praticare l’occultismo, la magia nera e altre invocazioni al diavolo. Questo non è accaduto in Brasile, dove tuttavia l’assenza di una catechesi vera e profonda, la repressione coloniale e il conseguente sincretismo hanno fatto sì che la realtà brasiliana non fosse molto diversa da quella di Haiti nei secoli passati, e poi, con l’avvento dell’Umbanda, dagli anni della sua fondazione in poi, fino ai nostri giorni.
Tutte le credenze presentano una componente assai rilevante di elementi eterogenei mescolati in modo sincretistico. Non si tratta più della religiosità yorubá arrivata dall’Africa nel XVI secolo, ma di qualcosa di più complesso e oscuro. Come spiega un autore: “queste religioni possono essere purificate, eliminando tante influenze e mescolanze. Allora soltanto potremmo scoprire in esse le radici e la purezza della cultura nera che cerca l’affermazione della propria umanità alla ricerca della comunione con la divinità. Se l’Umbanda si liberasse dalla dottrina anti-cristiana della reincarnazione, scopriremmo una religione interamente aperta al Vangelo. Il messaggio fondamentale di Cristo può entrare perfettamente in qualsiasi cultura senza distruggerla, liberandola dalle superstizioni e aiutandola a conoscere il Dio vero” (Gozzi 1993, 45-46), non in chiave sincretistica né di assimilazione, ma di evangelizzazione e di missione.
Pertanto, la gente si avvicina a questi culti come a qualsiasi altra corrente magica della New Age, cercando una spiritualità “fatta su misura” e determinati benefici per la propria vita. Risulta così evidente il carattere superstizioso e magico della pratica abituale dei culti afrobrasiliani, sia quando sono praticati nel loro contesto naturale, sia quando sono praticati come strumenti di “consultazione degli spiriti” in ambienti estranei (in Europa o America del Nord). In tal modo, così come in qualsiasi altra forma di pratica esoterica e divinatoria, si aprono le porte all’azione straordinaria del demonio. Azione che diventa l’unica spiegazione possibile di alcuni fatti che non trovano spiegazione alla luce della scienza, così come segnalano molti esorcisti a partire dalla propria esperienza.
In realtà, tutte queste religioni sono pagane, panteiste, con un sincretismo crescente – particolarmente l’Umbanda – e si prestano molto alla magia e all’esoterismo che, come sappiamo, sono delle porte spalancate all’azione preternaturale demoniaca. Inoltre, la morale che praticano, lontana dalla verità e vicinissima alla convenienza personale, è un altro elemento da considerarsi propizio a queste azioni.
In Africa si è registrata una forte tendenza a passare facilmente della religione alla superstizione, dalla fede in Dio al culto degli esseri divinizzati, dal culto degli spiriti alla magia, dalla magia bianca a quella nera . Manca al brasiliano una istruzione religiosa elementare. Certe pratiche religiose, buone e cristiane in se stesse, si manifestano più come manifestazioni folcloristiche che come atti di fede. Non esiste una coscienza cristiana formata. Il popolo non dispone di criteri sufficienti per poter discernere la verità dall’errore, per distinguere superstizione e magia dalla religione e le pratiche pagane dal culto cristiano. Per questo cade facilmente vittima della propaganda che presenta falsamente questo tipo di pratiche come culto cristiano. I culti magici, principalmente l’Umbanda, cercano sempre di mascherarsi sotto l’apparenza di culto cristiano.
Se a questo punto dovessimo descrivere la natura del movimento umbandista, non sarebbe possibile trovare altra espressione che, con grande precisione, ne definisca le tendenze meglio della seguente: «È un vero e proprio tentativo di paganizzare il Cristianesimo, trasformandolo dalla fede dei forti nella credenza degli impauriti». Vedere in uno stesso luogo le immagini di Cristo e dei Santi a fianco a delle statue del demonio; avere una croce le cui quattro estremità finiscono a forma di figa (un amuleto in forma di mano umana chiusa con il pollice che si intreccia tra l’indice e il medio); sentire le nostre più sacre e rispettate preghiere mescolate con le superstiziose invocazioni agli dèi pagani; assistere a lunghe cerimonie che invocano il santo nome di Dio per offrire doni o “sacrifici agli spiriti del male”; ascoltare l’invocazione a Cristo, Nostro Signore e Redentore, come “Capo Supremo dello Spiritismo di Umbanda”; vedere la Madonna ridotta a Iemanjá o a Madre dell’acqua; vedere bambini, ragazze, ragazzi, uomini e donne agitarsi con movimenti frenetici, rotolandosi sul pavimento, roteandosi e dimenandosi, urlando e gridando come pazzi e sconvolti: tutto questo nel nome di una religione e per praticare una religione. Inoltre, sentire dalla loro stessa bocca che sono anche cattolici, che sono battezzati, che perciò hanno abiurato a satana, che vanno in chiesa, che è stato il sacerdote a benedire le immagini, che hanno una immensa devozione alla Madonna o a un santo, che nella Settimana Santa fanno la santa Comunione: tutto questo e tutte queste scene di innominabile confusione spesso ci hanno non soltanto addolorato, ma anche hanno irritato, facendoci avvertire l’urgenza di una vera catechesi .
Concretamente, il tentativo di paganizzare il cristianesimo si manifesta in quattro modi:
1) con l’introduzione di costumi e usi superstiziosi nei circoli cristiani;
2) con il culto agli exus o la demonolatria;
3) con il culto agli orixás o il politeismo e l’idolatria;
4) con la diffusione della dottrina anticristiana e pagana della reincarnazione.

Per introduzione di usi e costumi pagani e superstiziosi in ambienti cattolici, non ci riferiamo a “piccole” superstizioni, quali la fumicazione “per scaricare l’ambiente”, uso di acque “per curare le malattie”, alcuni tipi di bagni “per portare via lo spirito che si appoggia” l’uso della figa , i ferri di cavallo “per allontanare il malocchio”, ecc. Ci riferiamo soprattutto alle grandi superstizioni della negromanzia, della magia e di altre arti divinatorie, che sono molto in voga tra questi culti e che sempre più penetrano nei cosiddetti ambienti cattolici. Non di rado la superstizione viene trasportata nel contesto della stessa Chiesa Cattolica. Per obbedire alle istruzioni del babalawô, molte persone vanno in chiesa per accendere un certo numero di candele davanti a un certo santo, per pregare tanti Padre nostro e Ave Maria per un determinato numero di giorni. Altri mandano a dire una Messa o addirittura ricevono un sacramento (specialmente l’Eucaristia), perché così ha ordinato il capo del terreiro. Di per sé tali pratiche sono buone e raccomandabili; ma in realtà sono fondamentalmente viziate in quanto a servizio della superstizione, fatte per ordine o indicazione di qualche fattucchiere, realizzate con mentalità magica.
La pratica di questi culti consiste essenzialmente nell’evocazione degli spiriti (negromanzia) e nel tentativo di mettere gli spiriti in modo diretto e sensibile al servizio dell’uomo (magia). Per riuscire nel loro scopo si servono di segni cabalistici (punti tracciati), versi evocativi (punti cantati) e di tanti altri oggetti (pembas, guias, punteruoli o pugnali, tamburi, affumicatori, sigari e pipe, colombi neri, galli rossi o neri, sangue di bue, bevande, birra, vino, cachaça ou marafo, olio di dendê o palma, polvere da sparo, popcorn, ecc.). È inconcepibile che qualcuno ami veramente Dio e allo stesso tempo pratichi la negromanzia e la magia così ripetutamente e severamente proibite da Dio. Ecco perché il cattolico non può mai essere membro di alcun gruppo, confederazione, società, fraternità, centro terreiro, ecc.

Concludiamo con le seguenti raccomandazioni che i sacerdoti e gli esorcisti dovrebbero sempre insegnare alle persone che li consultano o a cui fanno esorcismi:
1) Non vi deve essere nessuna inimicizia o ostilità con i sostenitori e i credenti dei culti afro-brasiliani o dello Spiritismo per ragioni religiose: il cristiano non può avere dei nemici.
2) Se si trova in condizioni di necessità, aiutare o soccorrere sempre chi appartiene al Candomblé o è Umbandista o spiritista. La carità cristiana è disinteressata. Si consideri però con grande attenzione che quando si stringono rapporti di amicizia con gli esponenti o discepoli dell’Umbandismo e con gli spiritisti in genere, essendo essi animati da un forte spirito di proselitismo sfrutteranno tale rapporto per convertire all’Umbandismo e allo spiritismo chi è venuto a contatto con loro.
3) Non collaborare però mai nella propaganda dei culti o nella costruzione e/o manutenzione delle loro opere, né moralmente né materialmente né finanziariamente: sarebbe peccato di approvazione e cooperazione con il male.
4) Il cristiano non può aderire alle dottrine panteiste e reincarnazioniste dei culti Candomblé, Umbanda, Kimbanda, ecc.
5) Per nessun motivo il cristiano pratica l’evocazione dei morti o degli spiriti dell’aldilà (negromanzia o magia): sarebbe peccato grave di disobbedienza e ribellione al Creatore.
6) Non approvare e divulgare qualunque libro o altro materiale stampato o manoscritto che proponga le dottrine e le pratiche superstiziose di questi culti (o altri simili). Facciamo memoria di quello che fecero i primi cristiani di Efeso (Atti 19, 18-19).
7) Astenersi totalmente dal frequentare qualsiasi sessione di tali sette.
8) In casi di malattia, non consultare pais-de-santo, babalawôs, babás, pitonise, negromanti, cartomanti, chiromanti o altre persone del genere: sarebbe peccato di negromanzia e superstizione.
9) Rifiutare sempre la tentazione di ricorrere a despachos (offerte), passes (benedizioni), defumadores (affumicatori), patuà (borsetta ermetica con degli oggetti fatturati) o alle esotiche “medicine” di questi culti: sarebbe peccato di magia e demonolatria.
10) Spiegare che i Santi Cattolici non possono essere identificati con le divinità pagane: San Giorgio col dio della guerra Ogum, la Madonna con Iemanjá, Santa Barbara con Iansã, ecc.
11) Mai partecipare a manifestazioni, pubbliche o private, del culto a Iemanjá, Ogum, Ibeji, ecc.: sarebbe peccato di idolatria e politeismo.
13) Non fare un patto, per nessuna ragione, neanche per “fare la carità”, con il demonio o qualunque altro Exu: sarebbe sempre gravissimo peccato di demonolatria.
14) Non fare uso di mezzi superstiziosi, come amuleti (figas, ferri di cavallo, cornetti, patuà, rami di arruda o guiné, ecc.), filtri, guias (collane): sarebbe anche questo un culto dissimulato a satana.
15) Non servirsi di questi oggetti neanche come ornamento o ricordo: potrebbe fomentare la superstizione negli altri.
16) Pregare molto perché Umbandisti e Spiritisti possano incontrare Gesù Cristo, scoprire la bellezza e la grandezza del Vangelo, rinunciare alla magia e alla superstizione e ricevere la vita nuova in Cristo.


BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

Alpizar, Ralph – París, Damián (2004), “Santería cubana: mito y realidad”, Martínez Roca, Madrid.
Baamonde, José María (1992), “Los cultos afrobrasileños”, Paulinas, Buenos Aires.
__________ (2003), “Sanaciones y exorcismos en cultos neopentecostales y afroamericanos”, Arbil. Anotaciones de pensamiento y crítica nº 57. http://www.arbil.org/(57)sana.htm
Borreiro, Valdemar (1988), “Umbanda. Los orixás contra las fuerzas del mal” Caymi, Buenos Aires.
Braga, Lourenço (1956), “Umbanda e Quimbanda”, 2ª parte, Rio de Janeiro.
Carvalho da Costa, Valdeli (1987), “Cabula e macumba”, Síntese nº 41, 65-85.
De la Serna, Eduardo (1996), “Las sectas, un desafío. Reflexiones sobre un signo de los tiempos”, San Pablo, Buenos Aires.
Douets Vasconcelos, Sergio Sezino (2013), “A união mística com o Orixá através da participação no Axé”, Horizonte nº 11, 737-756.
Elizaga, Julio César (1991), “Las sectas y nuevas religiones a la conquista del Uruguay”, La Llave, Montevideo, 5ª ed.
Fiori, Moreno (2003), “Maleficio e demonologia. Prospettive per una rinnovata attenzione pastorale”, en Sodi, Manlio, ed., Tra maleficio, patologie e possessione demoniaca. Teologia e pastorale dell’esorcismo, 327-354.
Fontenelle, Aluísio (1952), “O Espiritismo no Conceito das Religiões e a Lei de Umbanda”, Rio de Janeiro.
__________ (1953), “A Umbanda Através dos Séculos”, Rio de Janeiro.
Franco, Florisbela M. Sousa (1954), “Umbanda”, Rio de Janeiro.
Ganuza, Juan Miguel (1995), La avalancha de las sectas esotéricas, San Pablo, Caracas.
Gersi, Douchan (1994), Vudú, magia y brujería. Sabidurías de lo invisible, Martínez Roca, Madrid.
González-Wippler, Migene (2008), Santería: mis experiencias en la religión, Arkano Books, Madrid.
Gozzi, Paulo (1993), Cómo lidiar con las sectas, San Pablo, Santafé de Bogotá.
Gudolle Cacciatore, Olga (1977), Dicionário de cultos afro-brasileiros, Forense-Universitária, Rio de Janeiro, 2ª ed.
Guerra, Manuel (2013), Diccionario enciclopédico de las sectas, BAC, Madrid, 5ª ed.
Hess, David J. (1992), Umbanda e Quimbanda Mágica no Brasil: Repensando os Aspectos da Obra de Bastide. Arquivos de ciências sociais das religiões. 37e, n ° 79, julho-setembro de 1992.
Hernández, Paulino – Avedo, Marta (1998), Santería afrocubana. Sincretismo con la religión católica. Ceremonias y oráculos, Éride, Madrid.
Jara, Vicente (2014), “Los grupos satánicos: clasificación, doctrinas, actuación y difusión”, ponencia en la Conferencia Episcopal Española, sin publicar.
Kloppenburg, Boaventura (1984), Las sectas en América Latina, CELAM-Editorial Claretiana, Buenos Aires.
__________ (1961), “A Umbanda no Brasil Orientação para os Católicos”, Vozes, Petrópolis (Vozes em Defesa da Fé, nº2).
__________ e Kalverkamp, Desiderio (1961), “Ação Pastoral perante o Espiritismo Orientação para Sacerdotes”, Vozes, Petrópolis (Vozes em Defesa da Fé, nº 3).
Lévi-Strauss, Claude (1987), Antropología estructural, Paidós, Barcelona.
Oliveira Magno (1952), “Prática de Umbanda”, Rio de Janeiro.
Paniagua, Alejandro (1971), Los dominicanos: sexo, otros ensayos, El Médico Dominicano, Santo Domingo.
Pastorino, Miguel (2016), “Iemanjá y Umbanda, ¿diosa del mar o Virgen María?”, Aleteia, 2/02/16. http://es.aleteia.org/2016/02/02/iemanja-y-umbanda-diosa-del-mar-o-virgen-maria/
Pi Hugarte, Renzo (1998), ed., Los cultos de posesión en Uruguay. Antropología e historia, Ediciones de la Banda Oriental, Montevideo.
Reverte Coma, José Manuel (1992), De la macumba al vudú, Espacio y Tiempo, Madrid.
Sampedro, Francisco – Escobar, Juan Daniel (2003), Las sectas: análisis desde América Latina, CELAM, Bogotá.
Vázquez Borau, José Luis (2016a), “¿Hay antídotos contra la manipulación de los rituales Vudú?”, Aleteia, 19/01/16. http://es.aleteia.org/2016/01/19/hay-antidotos-contra-la-manipulacion-de-los-rituales-vudu/
Vázquez Borau, José Luis (2016b), Los cultos afroamericanos. Santería, Vudú, Umbanda, Candomblé, Vita Brevis, Maxstadt.
Zespo, Emanuel (1951), Codificação da Lei de Umbanda, Parte Científica, Rio de Janeiro.