di padre Francesco Bamonte, icms

Casa natale di suor Tomasina Pozzi

Suor Tomasina Pozzi è stata una suora italiana che nacque il 27 aprile 1910 da Attilio Pozzi e Aurelia Albinati a Uggiate Trevano in provincia di Como nella regione italiana della Lombardia nel nord Italia. Prima di quattro figli, fu battezzata con i nomi di Teresa Laura. Fin dal primo anno di vita, fu ammalata di rachitismo: la testa era sproporzionata rispetto al resto del corpo. I medici dissero che sarebbe presto morta oppure sarebbe rimasta deforme e zoppicante. La mamma si rivolse con fervore alla Madonna della Pace, il cui santuario era in Torino, inviando anche una piccola offerta al suddetto santuario.

La guarigione avvenne. La bambina non solo non morì, ma non rimase nemmeno deforme e zoppicante come avevano sentenziato i medici nella migliore delle ipotesi. La grazia della guarigione ricevuta fu pubblicata nel bollettino Lega Mariana per la Pace del trimestre ottobre-novembre del 1912.
Della sua infanzia è particolarmente ricordato anche un altro episodio. All’età di circa sei anni, un giorno la mamma le diede il compito cullare un fratellino. Ad un tratto corse in cucina, e disse alla mamma: «Mamma, mamma! Vieni a vedere la Madonna; è comparsa nella stanza, è vestita di color celeste e sorride». Ma entrate nella stanza non videro nulla. «Era qui; adesso è scomparsa», ripeté la bambina.
La devozione alla Vergine Santa fu praticata da Teresa Laura sin dai teneri anni infantili; aveva nella sua camera una statuina rappresentante la Madonna di Lourdes e presso di essa spesso, in ginocchio, pregava e cantava. Frequentò le scuole elementari nel vicino paese di Trevano dove a causa delle sue scarse capacità intellettive e una memoria estremamente labile a ritenere ebbe difficoltà nell’apprendimento per cui ripetette per due volte le prime due classi. Tuttavia non si perdette d’animo; anzi esultò quando le venne affermato autorevolmente, che per raggiungere il Paradiso non occorre tanta intelligenza, ma solo buona volontà.
Attese con grande desiderio il giorno della sua Prima Comunione impegnandosi con passione nello studio del Catechismo. Comprendeva bene le spiegazioni della suora però all’esame vinta dalla timidezza non seppe rispondere, tanto che la suora esaminatrice le disse: «E’ impossibile che tu possa essere ammessa alla Santa Comunione, con tanta ignoranza della Dottrina».  La piccina, delusa nella sua grande aspirazione, scoppiò in un profluvio di lacrime incontenibili, finché la suora impietosita, non insistette oltre nelle domande e l’ammise alla Prima Comunione. Quando fu più grandicella cominciò a recarsi ogni giorno alla chiesa parrocchiale con non poco sacrificio, perché distava 45 minuti dalla casa paterna e perché la Santa Messa iniziava alle 5 del mattino per cui doveva partire di casa alle 4, e in inverno spesso le vie erano infangate, ghiacciate e sdrucciolevoli. Trascorse la sua giovinezza nel lavoro dei campi. Per qualche tempo fu anche tessitrice in una fabbrica della zona. Nel 1925 si iscrisse alle Figlie di Maria e nel 1926 all’Azione Cattolica femminile. Nelle riunioni delle associate si faceva notare, non per la sua intelligenza, ma per le sue virtù. Già si intravedevano in lei i lineamenti della sua fisionomia spirituale: spirito di abnegazione e una profonda umiltà. «Mai un lamento usciva dalla sua bocca – racconta Angela – benché fosse tenuta in poca considerazione dalle compagne. Anzi, non si ritenne mai offesa, ma si mostrava sempre contenta e sorridente anche con quelle che la facevano soffrire. Non ho mai potuto comprendere se proprio non si accorgesse delle offese, o se, accorgendosene, facesse finta di niente».
Intanto sentiva sempre più veemente in lei l’attrattiva alla preghiera nella solitudine.
All’età di 17 anni, il 15 settembre 1930, giorno dell’Addolorata, mentre stava pregando davanti alla statua della Madonna Addolorata nel santuario di San Giuseppe e dell’Addolorata in località Somazzo, frazione del comune di Uggiate in provincia di Como, avvertì di essere chiamata alla vita religiosa. Passarono due anni prima che potesse esaudire il suo desiderio e finalmente il 19 settembre 1929 entrò come postulante nell’Istituto delle suore di San Giuseppe e dell’Addolorata di Borgovico di Como. L’anno successivo, il 15 settembre del 1930, vestì l’abito religioso. Otto mesi dopo però, il 13 maggio 1930, per motivi di salute – a causa di una forte astenia e insonnia – dovette lasciare l’Istituto e tornare a casa. Nel suo cuore tuttavia continuò a sentire un impetuoso desiderio di donarsi totalmente a Cristo nella vita religiosa per cui continuò a coltivare il fermo proposito di entrare in un istituto religioso. Ristabilitasi in salute, per interessamento del suo parroco, il 27 aprile del 1932 fu accettata come postulante nell’Istituto delle Pie Figlie della Sacra Famiglia di Mese, fondate dal sacerdote diocesano don Primo Lucchinetti nel 1898 a Mese, una località in provincia di Como in Lombardia.  L’istituto era dedito alla cura dei malati, degli anziani e dei bambini.
I suoi familiari, soprattutto il padre si erano opposti al suo proposito di rientrare nella vita religiosa, questi tuttavia visto il suo profondo convincimento la lasciò andare e la mattina della sua partenza il 19 settembre 1929, prima di recarsi al lavoro nei campi piangendo le disse: «Io ti saluto perché ormai tu sei decisa e io ti benedico: bada di essere sempre buona; rispetta i superiori e ubbidisci a tutti».
Nella commozione e nel pianto generale del resto della famiglia, la mamma, il nonno, i due fratellini e due sorelline, una zia e uno zio, lasciò la sua casa.
Tre anni prima della fine della sua vita terrena, per obbedienza al direttore spirituale nelle sue Memorie, che suor Tomasina scrisse a partire dal 1941, dice: «Durante l’anno del mio noviziato i miei giorni passarono un po’ in tutti gli uffici della casa, ne avevo uno che era per me di consolazione ed era l’impiego di assistere i ricoverati. Questi cari poveri mi facevano tanta compassione che alla vista delle loro miserie dovevo nascondermi in qualche angolo per piangere. Vedevo in loro le membra sofferenti di Gesù e in questo pensiero moltissime volte ho pianto. Facevo poi del mio meglio per sollevarli e dire di tanto in tanto una parola di fede e di amore, e quanta gioia provavo quando mi era dato di far sorridere, in mezzo a tanto dolore qualche anima. Rammentando quei giorni il mio cuore ne sente ancora la gioia perché i poveri sono per me i miei prediletti e nelle mie misere orazioni a Gesù li ricordo tanto, perché anche oggi ne sento la compassione»[1]. Ricordando di essere stata mandata via dall’Istituto religioso di San Giuseppe e dell’Addolorata, l’assalirà spesse volte come un crudele tormento il timore che a causa della sua scarsa intelligenza fosse dimessa anche da quell’Istituto. Ma il timore era motivato anche dal fatto che a causa della povertà della sua famiglia non aveva avuto la possibilità di portare – come era in uso a quel tempo – la dote cioè un sostentamento economico per le necessità del Convento.
Riguardo le sue scarse capacità intellettuali un giorno avvenne questo episodio. La superiora, suor Forni, avendo provato invano a insegnarle come si fa la divisione di due numeri le disse: «Sei proprio ignorante; e quel che è peggio, non sei capace di imparare nulla. Solo qualche Santo dal Cielo ti potrebbe istruire. Raccomandati a San Tommaso d’Aquino, che è il patrono delle scuole, affinché ti ottenga un po’ d’intelligenza, almeno quel tanto che ti è necessario per le cose più elementari». La novizia rispose: «Sì, Madre mia, mi raccomanderò, come voi dite a San Tommaso e se egli mi esaudirà, come spero, quando farò la Professione Solenne, cambierò il mio nome di Laura in quello di Tomasina, per mantenere sempre viva la mia gratitudine a quel grande Santo». In occasione della prima Professione Religiosa che ebbe luogo l’11 dicembre 1933, cambiò, di fatti, il suo nome di Battesimo con quello di Tomasina.

Suor Tomasina, rimase, tuttavia, sempre di una semplicità e di una ingenuità quasi infantile tanto che tra le compagne di probandato vi era qualcuna che la considerava una santa, ma qualche altra aveva sussurrato con ironia: «Non ho mai saputo che i santi siano così scemi».
Riguardo il giorno dei suoi primi voti, suor Tomasina così scrive nelle sue Memorie: «Arrivò anche per me il giorno della mia Professione Religiosa. Mio Dio, andavo dicendo, ora sono tutta tua, tutta tua per sempre. Ora non possiedo più nulla, sono povera come Te ed io mi sento felice della tua povertà. Il mio cuore si sentiva felice perché pensavo: “Ora il mio Dio è tutto mio”, pensavo ai Voti fatti ai piedi dell’altare, a questi consigli evangelici tante volte pensati e desiderati con tutto lo slancio dell’anima mia; ora finalmente potrò seguire la via del Maestro, dello Sposo mio. Oh! Fatemi morire piuttosto che trasgredire uno solo dei miei voti (avevo allora 26 anni)»[2]. Verso la fine 1936 Suor Tomasina emise i suoi voti perpetui, ma quando non erano trascorse nemmeno due settimane dalla sua Professione Religiosa perpetua, cominciò ad avere una tosse convulsa. I medici inizialmente non riuscirono a diagnosticare la sua malattia, poi, seppure con un margine d’incertezza la dichiararono ammalata di tubercolosi polmonare e in più dissero che doveva lasciare la Casa Madre del suo Istituto per essere ricoverata in un ospedale per tisici che allora veniva chiamato sanatorio.
Poco dopo essere ricoverata, il 4 febbraio 1937, le fu eseguita una radiografia ma non risultò tubercolosi né altra malattia polmonare in atto. Fu fatta un’altra radiografia il 12 novembre dello stesso anno e nuovamente non risultò nessuna patologia polmonare. Eppure, i sintomi esterni andavano in quella direzione. Contemporaneamente alla malattia, reale ma senza riscontri clinici, suor Tomasina cominciò ad essere travagliata da quelli che sembravano sogni spaventosi durante i quali vedeva bestie orribili e furiose, che la svegliavano agitatissima. Le Suore della Carità addette al sanatorio di Morbegno in provincia di Sondrio – dove fu ricoverata – pensavano che fosse effetto di fantasia. Suor Elvira Mantera, superiora delle suore del sanatorio, riferì che spesso suor Tomasina, di notte, si alzava spaventata dal letto, e – uscendo in camicia dalla camera sulla veranda attigua – chiedeva aiuto alle altre suore, perché – diceva – un uomo era entrato a percuoterla e poi si era nascosto sotto il letto. Una prima volta le suore accorsero, accesero la luce, ma non trovando nessuno nella stanza si ritirarono, dicendole che aveva sognato. Al grido di soccorso, ripetuto altre volte, non accorrevano più, commentando tra loro: «È pazza!». Invano, piangendo, le supplicava che le permettessero di tenere accesa la luce. «Siamo povere – rispondevano – e non possiamo prenderci il lusso di consumare inutilmente la luce durante la notte». Però non potevano fare a meno di meravigliarsi quando, al mattino, la vedevano con ampie lividure sul volto e constatavano che aveva sofferto grandi perdite di sangue dal naso. Mentre era ricoverata Suor Tomasina ebbe anche necessità di essere operata di appendicite. Quando il chirurgo aprì l’addome rimase sbalordito perché vide tutti gli intestini aggrovigliati, quasi fossero annodati tra di loro. E non riuscendo a capacitarsi come aveva potuto digerire e svolgere le sue normali funzioni fisiologiche con gli intestini così intrecciati, affermò: «È impossibile che questo intreccio sia avvenuto naturalmente».
Quando sembrò che i sintomi che l’assillavano fossero definitivamente scomparsi, fu dichiarata guarita e il 5 febbraio 1938 tornò alla Casa madre del suo Istituto religioso a Mese. Bisognava pagare le spese ospedaliere che di diritto spettavano al suo Istituto religioso, ma a causa della povertà della sua famiglia, non avendo avuto la possibilità di portare con sé una dote personale quando era entrata nell’Istituto, il Direttore don Carlo Fumagalli succeduto al fondatore don Primo Lucchinetti, morto nel 1935, insisteva perché la famiglia contribuisse al pagamento di quel debito. Suor Tomasina soffrì molto per quella vicenda e temeva di essere mandata via dall’Istituto per l’aggravio finanziario. Il demonio cercò allora di profittare di quella situazione. Un giorno, nella sua camera, gli apparve un frate dal volto torbido facendole molti complimenti. Poi le mostrò un plico di biglietti di soldi da mille lire, nuovi fiammanti, per le spese del suo ricovero che aveva fatto nel sanatorio. Inoltre, le promise che se ella avesse ceduto alle sue insinuazioni avrebbe fatto in modo da far credere a tutti di essere una grande santa. Suor Tomasina mossa dalla grazia di Dio, gli rispose che non avrebbe mai venduto la sua anima per il vile compenso del denaro, né avrebbe mai barattato a prezzo di denaro i suoi tesori spirituali. L’immagine del falso frate che era il demonio si dissolse, ma il furore del demonio divampò violento: nelle notti seguenti fu da lui pestata di colpi.
Una mattina in chiesa mentre era seduta da sola in un banco assai lungo e pesantissimo, situato nella tribuna della chiesa, il demonio le apparve, la scagliò sul pavimento e sovrappose il banco sul suo corpo. Le altre suore sentendo l’improvviso fragore accorsero e la trovarono distesa sotto il banco impossibilitata non solo a liberarsene, ma anche a muoversi. Un altro giorno, durante gli esercizi spirituali, mentre ascoltava la predica, il demonio le comparve improvvisamente sotto forma di un grosso cane minaccioso. A quella vista emise un grido di spavento. Tutta la comunità delle suore la guardò meravigliata, ma non videro nulla.
Una sera, mentre stava seduta nella sua camera, il demonio tornò e le scaraventò addosso una cassetta di legno contenente i suoi lavori di cucito. Il coperchio andò a pezzi.
Ma se il demonio iniziò a perseguitarla ferocemente, Gesù cominciò ad apparirle visibilmente, e a conversare con lei consolandola e incoraggiandola nella lotta. In un giorno d’aprile del 1938, durante la Via Crucis, mentre pregava, vide i personaggi della Passione di Gesù vivi, come se davanti ai suoi occhi si ripetesse la dolorosa storia del Calvario. Nel medesimo tempo cominciò a provare nel suo cuore un’indicibile compassione per Gesù sofferente. Verso la fine di quel mese sentì vivissimi dolori alle mani, ai piedi, al cuore, alla testa e alle spalle, specialmente di notte e nel pomeriggio dalle 14 alle 16. Nella notte del primo maggio 1938, sul suo corpo apparvero poi ferite sanguinanti alle mani, ai piedi, una piaga alla spalla sinistra e gocce di sangue intorno alla fronte, a modo di corona. Sei giorni dopo, nella notte del 6 maggio 1938, le apparve un taglio al costato lungo 10 centimetri dal quale usciva abbondante sangue. Crebbero anche i dolori. Fu allora che suor Tomasina comprese che la sua vocazione era soffrire con Gesù per la salvezza dei peccatori, ma capì anche che soffrendo con Gesù sarebbe stato meno straziante il dolore e meno desolante l’abbandono.

I fenomeni si ripetevano il giovedì e il venerdì. Una impressionante quantità di sangue usciva in particolare dalla ferita del costato, da inzuppare ogni volta parecchie pezzuole. La suora entrava in stato estatico diventando al contempo pallida e sofferen te.
Quando per la prima volta vide questi segni nel suo corpo, pianse desolata. Si vergognava di mostrarsi alle consorelle con quelle ferite sanguinanti. Cominciò a temere di essere allontanata dall’Istituto pensando che in quelle condizioni sarebbe stata di grave peso alla comunità. La superiora impartì subito ordine severissimo alle altre suore di non farne parola con nessuno e tanto meno di parlarne con suor Tomasina. Sebbene cercasse in ogni modo di nascondere le ferite, il suo desiderio di trascorrere la vita religiosa nell’umile adempimento dei suoi doveri e nel nascondimento ne fu sconvolto perché la resero inevitabilmente oggetto di attenzioni che avrebbe volentieri evitato. Il demonio, poi, dopo questi fatti continuò a infierire su di lei sempre più crudelmente. A tali scontri che si moltiplicarono e si susseguirono con rapidità sorprendente, si alternavano estasi durante le quali Suor Tomasina incontrava Gesù che le appariva, la consolava e la rassicurava.

Pezzuola imbevuta del sangue uscita dal costato

Alcune notti dopo la comparsa di quei segni nel suo corpo, il demonio la scaraventò fuori dal letto e le rovesciò sul suo corpo il materasso, il cuscino e un tavolino, per soffocarla. Le suore che l’assistevano, accorsero spaventate e l’aiutarono a rimettersi nel letto. Ne riportò un gran male alla schiena. Suor Tomasina, continuando ad essere enormemente imbarazzata per le ferite apparse sul corpo e la sanguinazione, cominciò a pregare insistentemente Dio di farle scomparire quei segni, non perché non volesse soffrirne gli effetti fisici, ma perché se ne vergognava e anche perché presagiva le gravi incomprensioni e sofferenze morali che sarebbero sopraggiunte, come di fatto avvenne nemmeno a un anno dall’inizio dei fenomeni.
Il 18 febbraio 1939, per ordine del Direttore dell’Istituto don Carlo Fumagalli e del Pro-Vicario generale dell’arcidiocesi Melchiorre Cavescali (1865-1944) che era anche responsabile delle comunità religiose femminili dell’Arcidiocesi, suor Tomasina fu condotta a Milano nella Casa dell’Istituto Piccole Serve del Sacro Cuore per gli infermi poveri, per essere esaminata dal padre Agostino Gemelli (1878-1959), francescano, medico e psicologo, rettore dell’Università Cattolica, e tenace oppositore di Padre Pio da Pietrelcina. Padre Gemelli non faceva mistero della sua convinzione che tutti i fenomeni di stigmate fossero una malattia mentale. Mosso dai suoi schemi e preconcetti trattenne suor Tomasina per quaranta giorni per giungere ad affermare in maniera lapidaria la diagnosi che sin dall’inizio – spinto dalle sue prevenzioni – aveva già stabilito: “fenomeni di pseudomisticismo in soggetto deficiente”. In quei quaranta giorni le mise accanto – ufficialmente perché l’assistesse, in realtà perché la controllasse continuamente – una suora dell’Istituto presente in quella casa, suor Maria Giacinta Lombardi, e gli riportasse una relazione minuziosa di quanto d’importante accadeva e le sue impressioni. Il Gemelli visitò suor Tomasina: il 2, l’8, il 9, il 15 e il 22 marzo[3]. Nella prima settimana di degenza dal 20 al 25 febbraio continuarono i fenomeni delle estasi con i soliloqui rivolti a Gesù e la fuoriuscita di sangue dalle ferite alle mani, al costato e ai piedi. Usciva sangue anche dalla fronte. Tuttavia il Gemelli non fu mai presente quella settimana né alle estasi né alle fuoriuscite di sangue. Nella terza settimana di degenza dal 6 al 12 marzo i fenomeni furono meno intensi. Il 7 marzo 1939 durante uno dei tanti momenti di colloqui estatici Gesù manifestò a suor Tomasina il suo dispiacere per come stavano trattando il suo caso. Durante l’estasi suor Tomasina pronunciò queste parole: «Il Signore mi ha detto così: fin tanto che gli uomini adoperano la scienza per capire i disegni e le opere che egli compie in un’anima, non permetterà nessun segno, ma lascerà che operino secondo la loro scienza». Queste parole si avverarono puntualmente. Il giorno dopo, l’8 marzo, vi fu la seconda visita del Gemelli e il 9 marzo suor Tomasina seppe che il Signore aveva deciso che finché sarebbe stata in quel luogo le ferite non si sarebbero più aperte e dalla ferita del costato non sarebbe più uscito sangue. Difatti, quella sera la ferita al costato che fino ad allora si era conservata aperta, si chiuse quasi del tutto e si asciugò. Durante l’estasi di venerdì 10 febbraio, suor Tomasina rivolgendosi a Gesù aveva detto: «La scienza si sforza di comprendere i miei mali; ma finora non ha compreso che il mio è un male di Cielo, è un’opera delle tue stesse mani». Il suo confessore che era Don Orsino, parroco di Mese, informato dei fatti impose a suor Tomasina, per ubbidienza, di chiedere a Gesù di farle tornare tutti i segni che aveva ritirato dal suo corpo. Gesù rispose che glieli avrebbe ridati, non però lì a Milano ma quando sarebbe tornata nella sua casa Madre a Mese.
Il 17 marzo 1939 le apparve il Cuore di Gesù grondante sangue a causa delle infedeltà delle anime a lui consacrate. In un impeto di amore e di compassione la religiosa disse a Gesù: «O Gesù che devo fare per consolarti? Per riparare le offese ricevute dagli uomini?». Gesù le rispose: «Offrimi le tue sofferenze e unisciti alle anime buone che mi onorano». E suor Tomasina disse a sua volta: «Lo sai, Gesù, che ho fatto il voto di vittima; fa di me ciò che vuoi, sono tutta tua, voglio essere tutta tua, irrevocabilmente tua. Trattami pure senza riguardi, purché io arrivi a consolare il tuo Cuore Divino».

Padre Gemelli nell’ultima visita, il 22 marzo, le disse di essere ubbidiente, ubbidiente in tutto, come se non lo fosse stata perfettamente durante il periodo della sua degenza e le manifestò inoltre la sua intenzione di cambiarle il confessore. Suor Tomasina esaminando la sua coscienza, certa che in quei giorni non aveva mai disubbidito e si era attenuta scrupolosamente a tutto ciò che le era stato detto, scrisse pertanto nel suo Diario: «Non mi volle spiegare il motivo di questa sua calda raccomandazione (si riferisce ovviamente al padre Gemelli, ndr), ma solo disse che ero obbligata ad obbedire. Io sorrisi per non piangere, perché non trovavo in me motivo alcuno per accusarmi di aver mancato di ubbidienza. Ma l’insistenza di padre Gemelli mi fece pensare non poco. Qui suor Tomasina probabilmente intende dire che la afflisse non poco.  Poi padre Gemelli le disse che le avrebbe cambiato il confessore. A queste ultime parole del Gemelli suor Tomasina pianse e come troviamo scritto nel suo Diario, così pregò nel silenzio del suo cuore: «Questo nuovo sacrificio, Gesù mio, mi fa davvero sanguinare il cuore, ma te l’offro in riconoscenza di tutte le grazie speciali che fai all’anima mia. Che sono mai le mie sofferenze in confronto dei patimenti che tu sostieni per la mia anima?».
Suor Tomasina, umiliata dal Gemelli che non aveva capito il lavoro di Dio nella sua anima, dopo la sua degenza nella casa di Milano delle suore Piccole Serve del Sacro Cuore, non fu portata subito nella Casa madre di Mese, ma nell’altra casa dell’Istituto, a Sondrio, dove fu trattenuta sino a ottobre.
Il suo nuovo confessore fu Don Bormetti, arciprete di Chiavenna.
Il Vescovo di Como chiese pertanto al suo Vicario Generale Mons. Giovanni Libera, di compiere un’indagine accurata dei fatti e poi di fargli pervenire una relazione dettagliata.
Rientrata a Mese, le vessazioni diaboliche si rinnovarono impressionanti e più preoccupanti di prima.
La notte del 3 settembre del 1941 e quella del 3 maggio del 1942 il demonio le diede fuoco al letto. Per la notte seguente all’incendio del 3 maggio 1942, le consorelle avevano preparato nella stanza della suora alcune bacinelle colme di acqua, per poter facilmente spegnere un altro eventuale incendio, ma quella notte il diavolo invece di appiccare il fuoco rovesciò tutta quell’acqua addosso a suor Tomasina.
Il demonio tornò ancora tentando di bruciare il letto della suora in una notte del giugno seguente e la notte del 1° luglio. Il 6 luglio successivo prima la percosse e poi la investì con un’ondata di fiamme persino di giorno mentre prestava il suo ufficio in portineria. Al suo grido di terrore accorsero le suore, che spensero il fuoco che la bruciava. Tuttora si conserva nell’archivio il grembiule che indossava bruciato a metà.
Undici giorni dopo, la notte del 17 luglio 1942, il demonio nuovamente cercò di bruciare il letto di suor Tomasina. Il fuoco quella notte fu così intenso che si propagò anche al letto della consorella suor Lucia Forni, che dormiva nella stessa camera e il pavimento ne portò le tracce. In uno di quegli incendi fu bruciata anche una parte della camicia da notte che suor Tomasina indossava.

Molti altri dispetti il demonio compì a danno di suor Tomasina. Un giorno gli sfilò la cuffia dal capo che fu poi ritrovata in un sottoscala della casa. Un’altra volta mentre faceva gli esercizi spirituali le sfilò nuovamente la cuffia e la nascose sotto un quadro dove in seguito fu ritrovata. Un’altra volta le sottrasse la mantellina che fu poi ritrovata dopo alcuni giorni sotto il letto. Un’altra volta mentre era in portineria e scriveva su un quaderno le tirò i capelli.

Un giorno la consorella, suor Lucia, le portò il pasto in camera, e nell’intento di farle compagnia pensò di assumere il proprio pasto con lei. Su di un unico vassoio portava due piatti, chiamata però d’urgenza, uscì per un breve istante dalla camera. In quell’attimo di assenza i due piatti che aveva poggiato nel centro di un mobile, furono gettati a terra dal diavolo, e quello di suor Tomasina si infranse.

Più volte il diavolo la fece cadere pesantemente e un istante dopo mentre la suora giaceva a terra le lanciava addosso gli oggetti che aveva in camera. Di tutti questi avvenimenti furono testimoni le suore della casa, specialmente quelle che l’assistevano più da vicino.

Quando le fu chiesto da Mons. Libera come le compariva il diavolo, rispose che a volte le compariva in forma di serpente, altre di cane o di orso, altre di un vecchio barbuto, ributtante e schifoso, ma più frequentemente sotto l’aspetto di un uomo con gli artigli, una volta vestito da frate.
Riguardo quest’ultimo travestimento accadde un giorno che mentre era costretta a letto per le emissioni di sangue dalle sue ferite, e mentre le sue consorelle erano tutte in chiesa per partecipare alla Santa Messa, sentì bussare alla porta e un attimo dopo vide entrare due frati. Era stupita nel vederli entrare da soli, perché nessuno poteva entrare nella sua stanza senza il permesso e la presenza della Madre Superiora. Essi cominciarono a compassionarla per le sue sofferenze e per le sue ferite. Poi le dissero che venivano dalla Spagna, dove molti erano stati perseguitati per la fede cattolica, e dove essi stessi avevano dovuto subire persecuzioni e patimenti. E così dicendo, cominciarono a denudarsi per farle vedere le loro ferite, ma suor Tomasina compreso l’inganno diabolico si fece il segno della Croce e i falsi frati scomparvero.

Una volta nel tentativo di dissuaderla dall’accettare il progetto di Dio su di lei, il demonio le disse: «Perché immolare la tua giovane vita? Perché consumarla così, è già tante volte che fai l’offerta di vittima. Tutto questo tempo non è stato che di tenebre e di angoscia ed invano hai cercato il tuo Diletto. Egli ti ha abbondonata e gettata in un mare di dolore. Questa tosse ti finirà e ti getterà nella tomba, senza raggiungere il tuo ideale di immolazione, perché non sai soffrire e sei ben lontana dall’essere una vera vittima. Suor Tomasina cambia strada, non vedi che è follia questa? Pensa alla tua Congregazione, non ti uccidere così. Dì che sei stanca, che non vuoi essere più vittima, [che non vuoi essere] il suo trastullo, e fa anche tu come le altre, non vedi come lavorano?»[4].

Continuavano intanto anche le vessazioni esterne. Il 7 agosto 1942 il demonio le gettò il comodino dalla finestra, che cadendo da quell’altezza si ruppe. Dopo alcuni giorni, lei stessa fu gettata dalle scale. Il Signore però non permise si facesse gran male e in breve si riprese.

Nel luglio del 1942 mentre la suora aveva fra le mani un libricino di preghiera scritto e donatole da Mons. Libera, il maligno glielo strappò di mano e glielo gettò a terra dicendogli: «Perché racconti le tue confidenze a quel prete, e perché leggi queste preghiere, mentre sei mia, e nessuno ti strapperà dalle mie mani?». La superiora trovò il piccolo libro per terra, presso la porta della camera. La copertina aveva l’impronta nera di un grande pollice e il margine superiore della copertina era bruciato.

Suor Tomasina fu sottoposta anche a fenomeni di terribili vessazioni diaboliche assai rare, caratterizzate dall’immissione nel suo corpo, da parte del demonio, di spilloni, aghi, lancette, ferri di ogni forma e dimensione che poi, dopo un certo tempo, affioravano e le venivano estratti.

È questa una forma di vessazione diabolica assai rara e dolorosa. Il dato interessante è che, grazie ai progressi della strumentazione medica, fu possibile eseguire numerosi esami radiografici che permisero di rilevare la presenza di molti di questi corpi estranei in ogni parte del corpo della religiosa.

Il dottor Aldo Bietti, radiologo, direttore del Consorzio provinciale di Sondrio, aveva fatto una radiografia alla suora la prima volta nel gennaio del 1937. La seconda volta rivide la suora quasi quattro anni dopo, nel dicembre 1941. Le radiografie praticate al capo, al torace, all’addome e agli arti mostravano la presenza sotto gli strati superficiali, di corpi estranei: spilli, aghi, forcine, fili di ferro, ecc. Sebbene frequentemente gli venissero estratti, dopo poco tempo comparivano nuovamente in varie parti del corpo. Anche poco prima di morire, nel 1944, lo stesso dottore ripetendo le radiografie, riscontrò ancora la presenza di corpi estranei in diverse parti del corpo.

La sera di venerdì 24 luglio 1942 Mons. Giovanni Libera, che come già detto fu inviato dal vescovo di Como, ebbe un colloquio con la suora. Le chiese tra l’altro: «Di tutti i ferri che le infisse nel corpo il demonio, quale fu quello che le procurò maggior dolore fisico?». La suora rispose: «Fu un piccolo ago, che per molto tempo mi rimase confitto nella gola. Non potevo neppure inghiottire la saliva per il forte dolore». Mentre stava finendo di dire queste parole, il ricordo di quella drammatica esperienza fece scendere due grosse lacrime dagli occhi della suora. Probabilmente si tratta dell’ago che le fu estratto dal collo il 28 settembre 1940, lungo 3 cm.
Nella notte successiva al colloquio con Mons. Libera, mentre suor Tomasina dormiva, il demonio la colpì con pugni così violenti alla schiena che le fuoriuscì sangue dalla bocca.

Il 22 agosto del 1942 mons. Libera fu informato che la suora non era più solamente tormentata dai ferri nel corpo e da vessazioni diaboliche esterne, ma anche da apparenti possessioni diaboliche. Pronunciava delle parole strane. Recatosi nella sua comunità venerdì 27 agosto, verso le 14, mons. Libera mentre parlava con la suora la vide oscurarsi in volto. Le spruzzò acqua benedetta e le disse di fare il segno di Croce. La suora alzò la mano destra, pronunciò le parole: «Nel nome del Padre…», poi rimase immobile, con la mano destra alla fronte. «Avanti – le disse – faccia il segno di Croce». «Non si può», rispose la suora. Comprese che c’era un forte disturbo del maligno e gli spruzzò nuovamente acqua benedetta. Allora tornò in stato normale e terminò di tracciare il segno di Croce.

Quella sera stessa ebbe la solita perdita di sangue dalle mani, dai piedi e dal costato iniziata dalle 16 circa. Dalle 21:00 alle 22:00 ebbe invece un’ora di estasi con colloqui. A entrambe le manifestazioni assistette mons. Libera.
Il giorno dopo, al mattino mons. Libera ebbe un colloquio con la suora. Terminato il colloquio mentre il sacerdote si recava in cappella per recitare il breviario incontrò il cappellano dell’Istituto padre Mario Cattaneo al quale non era mai stato concesso di vedere le ferite della suora. Gli venne il desiderio di accompagnarlo da suor Tomasina e il cappellano acconsentì. Entrati nella camera, la suora prese a dire: «Credete voi sacerdoti, con il vostro breviario in mano, di mandar via me? Ma guardatevi un po’ dentro di voi». Mons. Libera spruzzò la suora con acqua benedetta, che tornata in sé lo pregò di non lasciare la loro casa se non nel tardo pomeriggio.

Durante queste manifestazioni, suor Tomasina talvolta parlava in dialetto ma era per opera del demonio, perché la religiosa abitualmente parlava in italiano, come la Regola del suo Istituto prescriveva.

Nell’agosto del 1942 durante un’altra manifestazione di possessione, il maligno attraverso di lei disse queste parole: «Or voglio anch’io far la gran vita, godermi il mondo, non fare più la suora, darmi alla pazza gioia» e poi prese a cantare l’inno fascista: «Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza…». La suora ritornata allo stato normale non ricordò nulla di ciò che aveva detto e fatto poco prima.

Sei mesi dopo, il 15 marzo 1943 mons. Libera, su autorizzazione del Vescovo, ricevette facoltà di fare esorcismi alla suora. Dal 15 maggio fu pienamente tranquilla e il demonio non si manifestò più attraverso di lei sino a una sera del settembre 1943. Fu chiamato nuovamente mons. Libera. Appena entrò vide che la suora tentava di sputare in faccia alla superiora che l’assisteva. Al vedere il sacerdote, il demonio esclamò in dialetto attraverso la suora: «Vattene via, vattene via. Perché sei venuto qui a disturbare?». E sputò anche in sua direzione. Il sacerdote si scostò di due passi ed ella, seduta sul letto lo fissò in volto assumendo un atteggiamento altezzoso e nel medesimo tempo di soddisfazione per averlo costretto a scostarsi, poi scandendo lentamente le sillabe disse: «Questa suora è una maga» e la suora indicava con il dito se stessa tenendo però sempre fissi gli occhi sul sacerdote. Il sacerdote prese il secchiello dell’acqua santa che si trovava sul tavolino della camera, ma essa con viso oscuro gridò con parole blasfeme: «Cosa vuoi far con quel cesto per le castagne?».Appena l’ebbe spruzzata d’acqua benedetta, la suora tornò in sé e tentò, ma non le riuscì di far il segno di Croce. Il sacerdote allora additando il secchiello dell’acqua benedetta le chiese: «Che cos’è questo?». «È il secchiello dell’acqua santa». «Ma come lo ha chiamato appena poco fa?». «Non l’ho nominato io». La suora non ricordava nulla di quanto aveva detto o fatto durante quella manifestazione.
Contemporaneamente ai fenomeni preternaturali che vi ho presentato sin qui con un elenco non esaustivo, suor Tomasina sperimentò le varie tappe del cammino spirituale: quello purgativo con la notte dei sensi e la notte dello spirito[5], quello illuminativo, quello unitivo, elevandosi ai voli più alti della vita ascetica e mistica ordinaria e straordinaria sino all’unione estatica e unitiva.

Si alternarono frequentemente anche fenomeni soprannaturali.

Talvolta aveva conoscenza dello stato d’animo delle persone o conoscenza di cose che accadevano o sarebbero accadute e che non poteva sapere. Quando scoppiò la Seconda guerra mondiale nel settembre 1939, disse apertamente che l’Italia sarebbe entrata nel conflitto, cosa che avvenne l’anno dopo nel giugno 1940.

A una sua consorella era stata recapitata una lettera-espresso dei parenti, con la quale era invitata ad accorrere al capezzale della mamma in fin di vita. Suor Tomasina, consolandola, le disse: «Vostra madre non sta male, come sembrerebbe dalla lettera che avete ricevuto, anzi guarirà e vivrà ancora degli anni». E avvenne esattamente come aveva detto.

Non fu raro il caso in cui suor Tomasina manifestò di conoscere la situazione di soldati di cui non si sapeva più nulla, proferendo parole di rassegnazione o di speranza da riportare ai familiari a seconda della morte o della vita degli stessi.

Don Carlo Fumagalli, il “Direttore” delle suore, costatò personalmente questi doni particolari dell’umile suora.

Scrive don Fumagalli: «Suor Tomasina rivelò più volte avvenimenti lontani di luogo e di tempo: la mia presenza a Sondrio, dove mi ero portato da Como ad insaputa di tutti; il mio arrivo a Mese inaspettato e da lei preannunciato; la visita di Mons. Cavezzali con Don Luigi Re e con il marchese Cornaggia; segreti di Congregazione noti soltanto al Direttore e alla Madre Generale; l’accomodamento avvenuto tra la Santa Sede e il Governo Italiano circa la vertenza sorta per l’azione Cattolica da suor Tomasina annunciata la notte stessa in cui tale accomodamento avveniva a Roma e dai giornali annunciato all’indomani; provvedimenti da me pensati e non ancora manifestati a nessuno».

Suor Lucia Forni, che visse a lungo a fianco di suor Tomasina, attestò: «Dichiaro con giuramento che il 14 novembre 1938 ho trovato suor Tomasina estatica nella sua camera, inginocchiata per terra. Teneva fra le braccia e contemplava un Crocifisso, che stava prima appeso alla parete, di fronte al letto, così in alto, che è impossibile che la suora l’abbia staccato da sola». Alla domanda postagli da mons. Libera su come quella ed altre volte avesse potuto avere il Crocifisso tra le mani dal momento che era situato sulla parete a un’altezza che non poteva raggiungere se con una scala, rispose che il Crocifisso stesso si era staccato dal chiodo ed era sceso al suo invito.

Varie volte fu vista in levitazione sollevata dal pavimento.

Due consorelle attestarono di averla veduta in refettorio mentre mangiavano, sollevarsi da terra e rimanere senza toccare il suolo, sollevata in aria trenta centimetri, per circa dieci minuti.

Suor Antonia Zanetta si era recata in chiesa per la benedizione eucaristica. Al ritorno – scrive – ho trovato suor Tomasina spostata di alcuni metri, inginocchiata davanti a una statuetta dell’Immacolata: era sospesa in aria e il volto era come trasfigurato.

Varie volte su richiesta di Gesù ha fatto periodi prolungati di digiuno in cui non ha assunto né cibo né bevanda, sopravvivendo con la sola Santa Comunione. Se la superiora provava a farla mangiare rimetteva il cibo che non le scendeva nell’esofago, rimanendo come strozzata[6]. Il confessore le fece domandare a Gesù il motivo di un digiuno da lui chiesto. Il Signore rispose: «Sappi che io voglio da te il digiuno che ti ho comandato perché con questa penitenza i poveri soldati, anche i più ostinati, abbiano a morire con la grazia santificante». In quel momento era in corso la Seconda guerra mondiale.

Suor Forni racconta: «Un giorno, suor Tomasina mi chiese, per carità, di rifarle il letto e di aiutarla a cambiare maglia e camicia, perché da sola non riusciva. Le risposi che subito non potevo. Ritornai più tardi. La suora, tutta sorridente, mi mostrò in disparte l’involto della biancheria cambiata e mi disse che degli angeli le avevano rifatto il letto con grande sveltezza e cambiata senza farle male, e che prima di lasciarla l’avevano confortata e, riverenti, le avevano baciato le piaghe.
Un’altra volta, che l’avevo lasciata con la faccia tutta macchiata di sangue uscito dalla fronte, la ritrovai poi tutta pulita. Le chiesi chi l’avesse lavata ed essa rispose: “L’angelo custode”. Ed ho visto le impronte sull’asciugamano».

Durante gli stati estatici, quando parlava con Gesù, la sua personalità era completamente diversa da quando era in stato normale. E pur essendo senza cultura e di scarsa intelligenza manifestava capacità intellettuali che non le erano proprie, parlava in modo sublime e commovente e con esatta chiarezza teologica.

Una suora che l’assisteva, suor Maria Giacinta, dichiarò: «Quando parlava in estasi aveva gli occhi rivolti al Cielo e pronunziava speditamente le parole da sembrare un predicatore famoso; mentre quando era in stato normale aveva una pronunzia piuttosto lenta».
La sera del 24 luglio 1942, Mons. Giovanni Libera in un colloquio chiese a suor Tomasina come le appariva Gesù. La suora rispose: «In varie maniere: ora come Bambino, ora come Buon Pastore; ora con il Cuore scoperto, ma più frequentemente in atto di portare la Croce. Allora, mi guardia con un occhio, che sembra dirmi: “Non lasciarmi solo nel mio patire”».

Vi leggo solo brevemente alcuni dei numerosissimi brani proferiti mentre era rapita in estasi. Quando era in estasi parlava e chi la sentiva scriveva quanto diceva. Terminata l’estasi, chi l’aveva sentita e aveva scritto le chiedeva anche alcuni chiarimenti. I quaderni sono stati scritti da Madre Lucia e da altre suore che l’assistevano e avevano l’obbligo di scrivere.

Un giorno Suor Tomasina prese a dire: «Dimmi Gesù, in che cosa consiste la vera santità?». La risposta fu: «La santità consiste nel fare bene la volontà di Dio. Ad ogni anima è indicato il mezzo per farsi santa; ma non per tutti è lo stesso: a chi è richiesta la pratica di una virtù speciale, a chi di mantenersi fedele a qualche voto fatto, a tutti di vivere bene da veri cristiani».

Un’altra volta la religiosa mentre era in estasi disse:
«Se i fedeli comprendessero il valore di una benedizione sacerdotale, la chiederebbero sempre. E se i sacerdoti comprendessero il dono inestimabile di cui sono insigniti, continuerebbero a benedire».

In un’altra occasione affermò: «Se si comprendesse l’orrore del peccato si morirebbe prima di compierlo».

In un altro episodio di estasi disse: «Gesù mi ha fatto sapere, che io stessa potrei essere un sacerdote, offrendogli io pure la mia Messa, in unione a quella del sacerdote più fervente, dal mio letto di sofferenza. Gesù, che l’anima mia sia un’Ostia vivente; che il mio letto sia offerto a te fino all’ultima goccia…che le virtù dei miei voti siano i fiori profumati del mio altare. Che nessuno di essi esali il cattivo umore delle passioni».

In data 7 marzo 1940, da poco iniziata la seconda guerra mondiale, scrisse:
«Molte cose mi ha detto Gesù; la più impressionante fu che egli mi fa sapere che in questo momento scorre sangue dell’umanità, mentre l’incendio della guerra minaccia il mondo intero. Mi chiese la rinnovazione del mio voto di vittima; dicendomi essere necessaria la sofferenza; ma una sofferenza nascosta nel mio proprio cuore, e mi disse di pregare fervorosamente e di adempiere con sempre maggior perfezione gli obblighi del mio stato affinché gli uomini si persuadano a rispettare i Suoi santi diritti e a osservare le sue Leggi».

Dopo che il Vicario generale mons. Giovanni Libera informò accuratamente il Vescovo di Como dei fenomeni accaduti a suor Tomasina, non convinto della diagnosi di padre Agostino Gemelli, contattò la Suprema Sacra Congregazione del Santo Uffizio che tempestivamente rispose di «far visitare la predetta suora da un altro specialista, che sia esperto non soltanto nell’arte medica, ma anche nell’ascetica, secondi i sani principi della dottrina cattolica».

Purtroppo, questa visita consigliata dalla Santa Sede non poté essere effettuata perché le condizioni della religiosa comasca si aggravarono, e infine morì santamente il 4 novembre 1944, apparentemente di tubercolosi, all’età di soli 34 anni.

Oltre ai voti religiosi di castità, povertà, obbedienza, quando entrò nella vita religiosa suor Tomasina si sentì spinta a un particolare voto di umiltà e al voto di vittima per i sacerdoti. Riguardo al voto di umiltà, sul finire della vita in una sua esternazione con il Signore mentre era rapita in estasi, molto candidamente ella affermerà: «Ti ricordi, Gesù, quando ho fatto il voto di umiltà? Mi par proprio di non esser venuta meno a questa virtù; mi par proprio che tu non potresti rimproverarmi di nulla riguardo alla mia fedeltà».
Riguardo il suo voto di vittima, ella lo offrì anche e particolarmente per i sacerdoti. In una locuzione Gesù, le dirà a proposito: «Mi fanno piacere le anime che pregano e soffrono per i miei sacerdoti». In una lettera al vescovo del 23 dicembre 1942 suor Tomasina scrive: «Immolarmi per i sacerdoti era tutto il mio pensiero e proprio per essi mi sono data a Dio con il voto di vittima. Ed ora mi sento tanto felice di aver fatto questo voto che a mio parere inviterei tutti a questo scopo».

La grandezza di questa suora non sta nelle estasi e negli altri fenomeni soprannaturali che sperimentò; non sta nemmeno nelle sue lotte tremende con il demonio che abbiamo visto, ma nella sua segreta e intensissima adesione al Signore Gesù, sofferente, morente e glorioso dal quale fu scelta per una missione speciale di offerta e di amore, a gloria di Dio, per i sacerdoti e per la salvezza di tante anime nel solco della chiamata alla santità propria della consacrazione religiosa che ella abbracciò con immenso slancio, fede, umiltà e totale abnegazione.

 

APPENDICE
 
Elenco di oggetti metallici presenti nel corpo di suor Tomasina Pozzi
Come avete potuto comprendere dalla relazione sin qui presentata, nella vita di suor Tomasina si alternavano alle estasi e alle comunicazioni divine, forti vessazioni diaboliche sul suo corpo e infestazioni dei luoghi nei quali dimorava; poi, a un certo momento, ad esse si aggiunse, sia pure per brevi momenti, anche il fenomeno della possessione diabolica, ma senza manifestazioni violente. Si verificarono infatti manifestazioni esclusivamente verbali e cambiamenti nella fisionomia come nelle espressioni del volto. Per quanto concerne le vessazioni diaboliche, suor Tomasina presenta molte affinità con santa Gemma Galgani e con la beata Alessandrina Costa. Si discosta invece molto da loro, come da altri santi e beati, per quanto concerne l’esperienza di cui vi ho precedentemente accennato, e cioè le particolari, tremende vessazioni diaboliche caratterizzate dall’immissione nel suo corpo, per opera del demonio, di spilloni, aghi, lancette, ferri di ogni forma e dimensione che poi, dopo un certo tempo, affioravano e le venivano estratti. Questi oggetti metallici sono stati conservati nell’archivio dell’Istituto religioso della suora con una breve descrizione e la data in cui furono estratti dal suo corpo. Riporto di seguito un elenco di 32 corpi estranei estratti che, tuttavia, pur essendo lungo, non è completo.

1.    Alla fine del 1939, il demonio, fremebondo, perché invano l’aveva tentata alla disperazione, le conficcò un lungo chiodo, sotto al braccio, verso la spalla. La superiora, avvertita, osservò ma non trovò la ferita. Notò il gonfiore alla superficie e sentì una presenza dura al tatto.
2.    Il 10 maggio 1940, la superiora rimase fortemente impressionata nel veder spuntare dalla spalla destra di suor Tomasina un grosso chiodo. La condusse dal medico per farglielo levare, ma il dottor Foppoli che considerava la suora un’ammalata psichica non glielo estrasse. Tre giorni dopo, mentre la superiora generale tentava invano di estrarlo, suor Tomasina stessa lo afferrò per la parte sporgente e lo estrasse, consegnandolo alla superiora generale. Era lungo quanto un ago da calza e arrugginito.
3.    Il 7 luglio 1940 le fu estratto dal ventre un chiodo ricurvo ad una estremità, lungo cm 8.
4.    Il 2 novembre 1940, ore 21, le fu estratto un chiodo lungo 6 cm, al di sotto della trachea.
5.    Il 18 agosto 1940 le fu estratto da suor Lucia Forni una spilla sotto l’ascella, lunga quasi cm 9.
6.    Il 28 settembre 1940, le fu estratto dal collo, a sinistra, un ago sottile lungo 3 cm.
7.    Lo stesso giorno le fu estratto da sotto al mento un altro ago, lungo 3 cm.
8.    Il 29 settembre 1940, presente il padre Lambertenghi dell’Istituto degli Oblati di Rho, le fu estratto dalla spalla destra un ago, lungo 9 cm e mezzo.
9.    Il 7 settembre 1940, le fu estratto dal dottor Mazzoleni dal basso ventre un grosso gambo di spillone, lungo 5 cm e molto grosso.
10. Un venerdì di aprile del 1940 le fu estratto un grosso ferro, lungo 8 cm, che aveva infisso nelle carni dall’ottobre 1939, quindi da sei mesi.
11. Il 6 luglio 1940, le fu estratto dal petto una spilla, lunga 9,5 cm.
12. Il 21 settembre 1940 le fu estratto dal ventre un grosso chiodo lungo 5,5 cm, ricurvo ad una estremità.
13. L’11 settembre 1940 le fu estratto un chiodo, lungo 6 cm. In quello stesso giorno il radiologo notò nel corpo della suora la presenza di parecchi altri ferri.
14. Il 14 luglio 1940, le fu estratto dal basso ventre, da suor Giuseppina Boroni, a viva forza e con difficoltà un grosso chiodo, lungo 6 cm.
15. Successivamente in una data non riportata le fu estratto un ferro, molto grosso, lungo 9 cm. (non viene detto da quale parte del corpo).
16. Il 19 luglio 1940, presenti le suore Dell’Acqua e Forni, le fu estratto con grande fatica mentre provava spasimi atroci un ferro dalla sommità del cuore, lungo 8 cm e 6 mm.
17. Il 19 settembre 1940, le fu estratto da suor Spreafico un ago, lungo 5 cm.
18. Il 10 ottobre 1941, le fu estratto da suor Vezzoli una spilla lunga 4,5 cm.
19. Il 16 settembre 1941 le fu estratto da suor Spreafico, dal ventre un ferro lungo 4 cm, ma molto grosso a un’estremità.
20. Il 10 novembre 1941 le fu estratto da suor Spreafico, dal ventre, un ago, lungo 11 cm e ricurvo ad un’estremità.
21. Il 16 settembre 1941 le fu estratto dal braccio destro un ferro, molto grosso, lungo 1,5 cm, ricurvo ad una estremità.
22. Il 6 giugno 1941, le fu estratto dal petto a sinistra un ago, lungo 9,5 cm.
23. Il 30 ottobre 1941 le fu estratto un chiodo lungo 7 cm, dalla regione clavicolare destra.
24. Il 12 giugno 1941 le fu estratto dalla regione clavicolare un ferro, molto grosso, lungo 8, 3 cm, ricurvo all’estremità.
25. Il 27 maggio 1941, le fu estratto dal collo un ago, lungo cm 3,6.
26. Il 28 settembre 1941 suor Tomasina si estrasse da sola dal ventre un ago di siringa, lungo cm 3,5.
27. Il 29 giugno 1942 le fu estratto dalla regione clavicolare destra una spilla lunga 5,4 cm.
28. Il 25 maggio 1942, le fu estratto un ferro, dalla spalla destra, lungo 10 cm.
29. L’8 maggio 1942 le fu estratto un ferro grosso, uscito di sotto l’ascella, lungo 11 cm.
30.Una volta – ma non conosciamo la data – soffrì molto per due chiodi, infissi alle carotidi, e che non le permettevano il libero movimento del collo.
31.Il giorno 10 maggio 1942 fu trovato nel suo letto un ferro lungo 15 cm. Suor Tomasina asseriva di averglielo lasciato nel letto il demonio, durante la notte, con questa imprecazione: «Brutta bestia, gliel’hai detto al confessore».
32. Il 2 giugno 1941, le fu estratto da un occhio un pezzettino quella volta non di ferro, ma di vetro.

PREGHIERA PER LA GLORIFICAZIONE DI SUOR TOMASINA POZZI
O Gesù buono, che nei disegni della Tua infinita carità, le tue grazie concedi agli umili e neghi ai superbi, ascolta il gemito dell’anima nostra negli affanni dell’ora triste in cui viviamo.
Ricorda l’offerta totale che di se stessa ti fece in olocausto la Tua fedele serva Suor  Tomasina, il suo martirio di corpo e di spirito, le sue lunghe agonie in unione con la tua Passione, il profumo della sua fede e semplicità infantile, l’ardore delle sue preghiere per le anime più bisognose e per la sua intercessione concedici la grazia che fidenti ti domandiamo…
Risplenda, o Gesù, la tua gloria e la tua potenza in quest’anima a Te così fedele, e degnati di coronare tanto pregare e tanto patire della tua cara Sposa con l’onore degli altari, perché al mondo miscredente, corrotto e superbo, possa insegnare le vie luminose della fede, della purezza e dell’umiltà, che guidano sicure al tuo Cuore Divino.
Padre nostro, Ave, Gloria.

Imprimatur
Comi, die 26 octobris 1952
in festivitate Christi Regis
Felix Bonomini Ep. Com.

Testi consultati:
Mons. Giovanni Libera, La stimmatizzata di Mese, Como, Casa Editrice Emo Cavalleri, III ed. riveduta, Imprimatur: Alexander, Epis. Comens, Como, 22 novembre 1944. Stampato da: Ancora Arti Grafiche, Milano.

Suor Tomasina Pozzi, Gesù mi disse, NED, senza data, Pubblicato a cura della Congregazione delle Pie Figlie della Sacra Famiglia di Mese (Sondrio). Stampato da: Ancora Arti Grafiche, Milano.

Suor Tomasina. Un cuore grande trafitto per Dio. Breve biografia di suor Tomasina Pozzi delle Pie Figlie della Sacra Famiglia di Mese. Pubblicato a cura della Congregazione delle Pie Figlie della Sacra Famiglia di Mese (Sondrio). Pro manuscripto, 1995.


[1] Suor Tomasina Pozzi, Gesù mi disse, Edizioni NED, senza data. Stampato da Ancora Arti Grafiche Milano, pag. 37-38.
[2] Ivi, pag. 39.
[3] Sono risalito a queste date dal volume di Mons. Giovanni Libera: La stimmatizzata di Mese, Casa Editrice Emo Cavalleri, III ed. riveduta, Imprimatur: Alexander, Epis. Comens, Como, 22 novembre 1944.
[4] Ivi, pag. 99.
[5] Aridità, senso di abbandono da parte di Dio, dubbi, non sente più l’anelito al bene, tutto è tenebre, tutto è sconvolto, è una morte mistica. È tentata di rifugiarsi in un monastero di clausura per sfuggire a coloro che accorrevano per ammirare le sue stimmate.
[6] Mons. Libera scrive: «A misura che il digiuno si prolungava, sembrava ringiovanire e le forze riprendersi».