Il seguente articolo, a cura dell’Associazione Internazionale Esorcisti, è stato realizzato con la collaborazione dei Padri Micheliti del Santuario di San Michele Arcangelo in Monte Sant’Angelo, provincia di Foggia – Italia.

L’episodio del toro e la prima apparizione dell’Arcangelo

Il Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano (Apparitio), testo situabile tra il VI-VIII secolo, narra che nell’anno 490, in Puglia, nell’attuale città di Manfredonia che allora si chiamava Siponto, c’era un uomo molto ricco di nome Gargano il quale possedeva copiose schiere di bestiame. Un giorno l’armento pascolava qua e là per i fianchi scoscesi del monte. Un toro si staccò dal gregge e si spinse solitario sino alla cima del monte. Ivi stava una grotta e il toro si fermò all’ingresso. Il padrone, riunito un gran numero di servi, cercandolo in tutti i luoghi meno accessibili, lo trovò, infine, sulla sommità del monte, piegato sulle zampe anteriori dinanzi a quella grotta. Dato che il toro era solito disprezzare la vicinanza degli altri animali andandosene in giro da solo, il padrone si adirò molto e, preso l’arco, cercò di colpirlo con una freccia avvelenata. Questa, prima di giungere al toro, come se respinta da mano invisibile, si rivoltò fulmineamente e tornò indietro, ferendo al piede l’arciere che l’aveva scoccata. Meravigliato e turbato del fatto, Gargano ritornò in città e raccontò a molti l’accaduto. Si recò anche dal Vescovo di Siponto, Lorenzo Maiorano che, dopo aver ascoltato il racconto della straordinaria avventura, per avere lumi da Dio sul prodigio, ordinò tre giorni di preghiere e digiuno. Nei primi secoli della Chiesa, essendo grande il fervore religioso, i Vescovi in certe occasioni solevano ordinare un periodo di penitenza e di preghiera particolare. Il Signore, che molto gradisce la preghiera unita al digiuno, diede al Vescovo i desiderati lumi. Finiti i tre giorni, al Pastore della Chiesa di Siponto apparve San Michele, che così gli parlò:

«Hai fatto bene a chiedere a Dio ciò che era nascosto agli uomini, cioè il mistero dell’uomo colpito dalla sua stessa freccia. Sappiate che tutto questo è avvenuto per mia volontà. Io, infatti, sono l’Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La grotta è a me sacra. E poiché ho deciso di proteggere sulla terra questo luogo ed i suoi abitanti, ho voluto attestare in tal modo di essere di tutto ciò che avviene e del luogo stesso patrono e custode. Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Va’, perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano».

Ma, poiché quella montagna misteriosa e quasi inaccessibile era stata luogo di culti pagani, il Vescovo temporeggiò lungamente sulla decisione di obbedire alle parole dell’Arcangelo.

 

La battaglia e la seconda apparizione

La seconda apparizione di San Michele, detta “della Vittoria”, viene tradizionalmente datata nell’anno 492 (alcuni, però, la pongono tra il 662 e il 663 in relazione alla vittoria dei Longobardi sui Bizantini).

Due anni dopo la straordinaria apparizione, Siponto alleata con i Beneventani, fu cinta d’assedio dall’esercito pagano dei Napoletani. Dopo inutili tentativi di difesa i Sipontini, stremati, stavano per arrendersi.

Il santo Vescovo allora ebbe l’ispirazione di affidarsi alla protezione di San Michele. Tra lacrime e gemiti indisse tre giorni di completo digiuno, preghiere e penitenze rivolgendo calde preghiere all’Arcangelo affinché scampasse la città dall’estrema rovina. All’alba del terzo giorno, trovandosi nella cattedrale di Santa Maria in Siponto, mentre era immerso in profonda preghiera, gli apparve l’Arcangelo San Michele, circondato di luce risplendente e gli disse:

«Non temete; le vostre preghiere sono state esaudite. Interverrò io stesso per dare la vittoria ai Sipontini. Voi, dunque, attaccherete battaglia all’ora quarta di questo stesso giorno”.

Avvenne che all’ora indicata una grande nube, densa e fosca, coprì la cima del monte ove era la grotta di San Michele. La nube si fece sempre più minacciosa, estendendosi su tutta la zona; il cielo si oscurò talmente da far paura; le acque del vicino mare furono agitate da una forte tempesta. Tuoni, fulmini e terremoti presero ad imperversare senza sosta e le saette cadevano sull’esercito pagano. Il terrore si impadronì degli assedianti che si diedero alla fuga. Il fatto sarebbe avvenuto l’8 maggio, giorno in cui San Michele precedentemente si era manifestato per la prima volta, designato proprio per questo negli antichi calendari come la festa dell’Apparizione o della Invenzione di San Michele Arcangelo al Gargano. Ma già precedentemente il «dies festus» di San Michele era indicato al 29 settembre, data della dedicazione di un luogo di culto antichissimo, eretto in Roma sulla via Salaria.

Per ringraziare l’Arcangelo della vittoria, il popolo di Siponto, con in testa il suo Vescovo, salì al Gargano recando le ricche spoglie sottratte ai nemici, ma nessuno osò entrare nell’antro buio e come inaccessibile. All’ingresso fu rinvenuto un masso sul quale si notò un’impronta di piede (secondo altri due impronte) come di fanciullo che fu subito identificata per quella dell’Arcangelo in atto di spiccare il volo ed andare al combattimento contro i pagani. Questa pietra, dunque, il Vescovo Lorenzo adibì ad altare (chiamato “apodàneo” per l’impronta del piede) e su di esso celebrò i Santi Misteri. Ad Est, poi, in posizione più pianeggiante, eresse una chiesa in onore di San Pietro apostolo che servisse per le celebrazioni quotidiane.

Intanto, nella consuetudine popolare, la montagna iniziò ad essere chiamata “Monte Gargano”, perché lassù Gargano, il padrone del toro, aveva ricevuto il primo segno tangibile della presenza dell’Arcangelo e coloro che iniziarono a stanziarvisi ebbero l’appellativo di “Garganici”.

 

La Dedicazione e la terza apparizione

La terza apparizione viene denominata anche “episodio della Dedicazione”. L’ Apparitio riporta, infatti, che «I Sipontini rimanevano in dubbio su cosa fare del luogo e se si dovesse finalmente entrare nella grotta e consacrarla». Il Vescovo rivolse suppliche al Papa Gelasio I per avere il permesso di dedicare quel luogo a San Michele e domandò pure in quale giorno fosse conveniente compiere il rito della Dedicazione. Il Papa così rispose:

«È meglio aspettare l’oracolo dello stesso Celeste Principe. Noi lo imploreremo mediante un triduo in onore della Santissima Trinità. E Voi, Fratello dilettissimo Lorenzo, con i diletti Vescovi: Sabino di Canosa, Austerio di Venosa, Riccardo di Andria, Eutichio di Trani, Giovanni di Ruvo, Ruggero di Canne e Palladio di Salpi, nonché tutti i cittadini e diocesani di Siponto, farete parimente un triduo di preghiere e digiuno».

Il Vescovo Lorenzo Maiorano, dunque, invitò i Vescovi vicini ed indisse il triduo di penitenza. Il terzo giorno, durante la notte, San Michele circonfuso di fulgidissima luce, gli apparve di nuovo e disse:

«Non è compito vostro consacrare il tempio da me costruito. Io che l’ho fondato, io stesso l’ho consacrato. Ma voi entrate senza timore e frequentate questo luogo, posto sotto la mia protezione…. Sarà compito mio mostrare come sia avvenuta la sua consacrazione» (Apparitio).

Allora il Vescovo Lorenzo, insieme agli altri sette Vescovi, in processione con il popolo ed il clero Sipontino, si avviò verso il luogo sacro. Durante il cammino si verificò un prodigio: quattro aquile, con le loro ali spiegate, riparavano i Vescovi dai raggi del sole e muovendole simultaneamente facevano scendere sui pellegrini una piacevole frescura. Ma altri nuovi prodigi attendevano nella Sacra Grotta i Vescovi e il popolo. Entrando devotamente in essa, vi trovarono al fondo della parete nuda e rocciosa un altare coperto da un tovaglia rosso porpora e sormontato da una Croce di cristallo, segno dell’avvenuta consacrazione.

Il Vescovo Maiorano vi celebrò con immensa gioia per la prima volta il Santo Sacrificio della Messa. Era il 29 settembre 493 e questa data in poco tempo si distaccò dal ricordo della Basilica romana per divenire esclusivamente giorno della festa della Dedicazione di San Michele Arcangelo sul Gargano. La grotta stessa, essendo l’unico luogo del cristianesimo non consacrato da mani d’uomo, ha ricevuto nei secoli il titolo di “Celeste Basilica”.

 

La quarta apparizione

Era l’anno 1656 ed in tutta l’Italia meridionale infieriva una terribile pestilenza. L’Arcivescovo Alfonso Puccinelli, non trovando alcun ostacolo umano da contrapporre all’avanzata dell’epidemia, si rivolse all’Arcangelo Michele con preghiere e digiuni. Il Pastore pensò addirittura di lasciare nelle mani della statua di San Michele una supplica scritta a nome di tutta la Città. Ed ecco, sul far dell’alba del 22 Settembre, mentre pregava in una stanza del palazzo vescovile di Monte Sant’Angelo, sentì come un terremoto e poi San Michele gli apparve in uno splendore abbagliante e gli disse:

«Sappi, o Pastore di queste pecorelle, che io sono l’Arcangelo Michele e che ho impetrato dalla Santissima Trinità che chiunque adopererà con devozione i sassi della mia Basilica, allontanerà dalle case, dalla città e da qualsiasi luogo la peste. Tu benedirai i sassi, sui quali sia scolpito il segno della Croce col mio nome».

Il Vescovo fece come gli era stato detto. Ben presto non solo la città di Monte Sant’Angelo fu liberata dalla peste, secondo la promessa dell’Arcangelo, ma chiunque richiedesse tali pietre, in qualsiasi parte si trovasse, veniva miracolosamente liberato o preservato dal morbo.

A perpetuo ricordo del prodigio e per eterna gratitudine, il Vescovo fece innalzare un monumento a San Michele nella piazza della Città, dove ancora oggi si trova, di fronte al balcone di quella stanza nella quale gli apparve. Ai piedi della colonna che sostiene la statua di San Michele, fece porre la seguente iscrizione in latino: “Al Principe degli Angeli Vincitore della Peste Patrono e Custode Monumento di eterna gratitudine”Alfonso Puccinelli 1656.

 

La grotta e il santuario di San Michele

La grotta del monte Gargano è ampia, suggestiva, imponente. La lunghezza dell’apertura è di circa dieci metri per quattro di altezza. E’ tutta viva roccia, massiccia come la roccia della grotta di Lourdes. L’interno è profondo ed angoloso; le pareti sono digradanti a padiglione. La sua maestosa ampiezza si svela immediatamente sulla sinistra della cosiddetta “navata angioina”, ultimo corpo di una fabbrica ardita promossa da Carlo d’Angiò e portata a compimento dai suoi successori che collega il centro abitato (in alto ad Est) con la grotta stessa. L’illuminazione è ben regolata, concentrandosi in modo particolare verso la statua raffigurante l’Arcangelo. Alcuni gradini di marmo portano alla balaustra, la quale dà accesso alla parte più interna del singolare luogo sacro: il presbiterio nel cui centro sta l’altare delle celebrazioni che, comunque, non è più quello trovato eretto e consacrato per ministero angelico. Un poco più in alto, in posizione eminente, c’è il trono di San Michele; in una grande urna d’argento, vi campeggia, la sua statua, opera del Sansovino, in bianco marmo di Carrara, alta quasi a grandezza d’uomo: un’opera d’arte incomparabile, specialmente per il misticismo che emana dalla scultura. Il volto di San Michele, bello e sereno, esprime serenità e trionfo. L’Arcangelo è rappresentato nell’atto di vibrare la spada su Lucifero, che gli sta sotto il piede. Sull’urna scintillante sta scritto «Quis ut Deus?» cioè: «Chi, come Dio?». Il tutto poggia su un cubo composto all’interno dalla roccia naturale, completamente racchiusa ed occultata da lastre marmoree. Secondo la tradizione dovrebbe essere il masso delle impronte che, rimosso dal suo sito primitivo e trasportato all’interno, nella liturgia pre-conciliare fungeva da altare senza la rituale “pietra santa”. Si sa, infatti, che l’Arcangelo è un Puro Spirito e, quindi, non ha corpo; tuttavia, secondo il racconto delle vicende legate alla seconda apparizione, si tramanda che su quella roccia sia stata rinvenuta l’impronta del suo piede (avendo preso forma umana). A memoria di ciò, moltissimi pellegrini hanno lasciato sulle pareti della scalinata l’impronta della propria mano. Alcune impronte sono dei Crociati, che prima di partire per la conquista del Santo Sepolcro, visitavano il santuario chiedendo al Celeste Guerriero aiuto e protezione.

Nel vivo della grotta, sulla sinistra di chi entra, si apre un’altra piccola grotta, che è chiamata la Cava delle pietre votive. È una piccola caverna, dalla quale sono rimosse le pietre, che poi, quasi come reliquie, sono murate nelle fondamenta di edifici, di altari e monumenti dedicati a San Michele, oppure ridotte in frammenti che si donano a tutti coloro che la richiedono.